martedì 11 dicembre 2012

A VOLTE RITORNANO


A quattro anni dalla Grande Crisi tornano le obbligazioni garantite da mutui immobiliari e obbligazioni “junk” (obbligazioni “spazzatura”). Ma la ricerca di rendimenti elevati non giustifica investimenti avventati e non sostenibili. Qualità, selettività, buone informazioni le parole chiave per questi mesi.
Luigi Einaudi è stato un grande intellettuale, un grande economista ministro con De Gasperi, Governatore della Banca d’Italia, Presidente della Repubblica Italiana dal 1948 al 1955. Insomma un grande italiano. E’ celebre la definizione che egli diede del risparmiatore: strano animale con cuore di coniglio, gambe di lepre e memoria di elefante.
Eppure c’è da chiedersi se la definizione che Einaudi fece del risparmiatore sia ancora attuale o se scarsa educazione finanziaria e avidità ne abbiano provocato l’estinzione e favorito lo sviluppo di specie del tutto nuove.
Sembra infatti che l’avidità abbia avuto ragione del cuore di coniglio e delle gambe da lepre, e anche la memoria si sia fatta straordinariamente più corta. Approfittando di avidità e memoria corta di tanti investitori, fantasmi del passato che pensavamo scomparsi per sempre “a volte ritornano”.
Tassi bassi o addirittura negativi in termini reali e le deboli prospettive di rendimento di corporate di buona qualità costituiscono un ambiente decisamente ostile all’investimento obbligazionario. Tornano dunque le obbligazioni garantite da mutui immobiliari, si riaffacciano le cartolarizzazioni di mutui immobiliari rischiosi i cui rendimenti di gran lunga superiori a quelli dei Treasury fanno premio sulla loro pericolosità.
Alle ragioni di natura finanziaria si affiancano motivazioni che hanno più a che fare con la psicologia degli individui. I molti che trovano insoddisfacenti i rendimenti dei titoli governativi o delle società ad elevato rating si mettono alla ricerca di maggiore rendimento nelle obbligazioni (perché “meno rischiose delle azioni“!) e finiscono per lasciarsi irretire dai rendimenti sibaritici senza preoccuparsi troppo della loro sostenibilità.
E’ una sorta di deja vu, un viaggio indietro nel tempo di pochi anni, come se il 2008 non ci fosse mai stato, come se non si fosse imparato nulla da quella lezione i cui disastri si allungano dolorosamente nello scenario di oggi .Secondo il Sole 24 Ore nel corso del 2012 ad oggi sono stati emessi circa 313 miliardi di dollari in obbligazioni “junk”, più del doppio rispetto al 2007. Di questi circa 31 miliardi sono emissioni con il rating più basso (tripla C).
 La corsa alle obbligazioni più speculative è certamente agevolata dal programma quantitativo della Federal Reserve avviato a settembre, che prevede l’acquisto di 40 miliardi di dollari al mese di obbligazioni garantite da mutui. Come in un B-movie  ell’orrore sono tornati anche i titoli che pagano la cedola in natura: sono i Pik Bonds (Pay in kind bonds) che consentono di rimborsare la cedola semestrale con nuove obbligazioni anziché con il denaro. Per l’emittente è un modo semplice per differire, fino alla scadenza, l’obbligo del rimborso, per il prestatore è un modo come un altro per farsi del male aumentando il rischio in modo parossistico.
 “More junk in the junk bond trunk”, altra immondizia nel contenitore dei bond-immondizia; chi mai al mondo accetterebbe simili castelli di carta, ci si potrebbe chiedere. Eppure qualcuno ci deve essere, perché diversamente non si spiegano i circa cinque miliardi di dollari di questi titoli emessi nel solo 2012.
 Quando la piscina si svuota, dice Warren Buffet, ci si accorge di chi non ha il costume. Per quanto difficile sia l’ambiente per l’investitore obbligazionario, esso non è alibi per scelte avventate, per la ricerca della sua sostenibilità. Il 2013 si profila anno difficile per le obbligazioni, la Fed metterà fine al programma QE3, la crescita debole potrebbe inceppare i rimborsi delle società più deboli che pure sono massicciamente ricorse al mercato nel 2012.
Qualora i nodi dovessero venire di nuovo al pettine, e i sottoscrittori di quelle obbligazioni si trovassero di nuovo in difficoltà bisogna ricordare che: la ricerca di rendimento reale non può non essere associata, sempre, alla verifica della sua sostenibilità rendimento a prescindere, senza la contestuale attenzione per decidere bene sono necessarie buone informazioni e questa è una ulteriore difficoltà perché, come dice Peter Bernstein, “l’informazione che hai non è l’informazione che vuoi. L’informazione che vuoi non è l’informazione che ti serve. L’informazione che ti serve non è informazione che puoi avere. L’informazione che puoi avere costa più di quanto tu sia disposto a pagare”.   
I mercati finanziari in questo speciale periodo della storia mettono alla prova tutti, operatori professionali, gestori, risparmiatori. La costruzione di portafogli di successo richiede buone informazioni, qualità, selettività.
Nessuno ha la bacchetta magica, ma ragionandoci un po’ su senza farsi prendere da facili e futili entusiasmi e soprattutto non guardando l’erba del vicino ma in casa propria …. si può fare un buon lavoro.
Un abbraccio Mauri
(fonte dati S&G studi che ringrazio)

venerdì 23 novembre 2012



                            IL BAR DI HELGA

Helga è la proprietaria di un bar, di quelli dove si beve forte.

Rendendosi conto che quasi tutti i suoi clienti sono disoccupati e che quindi dovranno ridurre le consumazioni e frequentazioni, escogita un geniale piano di marketing, consentendo loro di bere subito e pagare in seguito. Segna quindi le bevute su un libro che diventa il libro dei crediti (cioè dei debiti dei clienti).



La formula “bevi ora, paga dopo” è un successone: la voce si sparge, gli affari aumentano e il bar di Helga diventa il più importante della città.

Lei ogni tanto rialza i prezzi delle bevande e naturalmente nessuno protesta, visto che nessuno paga: è un rialzo virtuale. Così il volume delle vendite aumenta ancora.
La banca di Helga, rassicurata dal giro d’affari, le aumenta il fido. In fondo, dicono i risk manager, il fido è garantito da tutti i crediti che il bar vanta verso i clienti: il collaterale a garanzia.



Intanto l’Ufficio Investimenti & Alchimie Finanziarie della banca ha una pensata geniale. Prendono i crediti del bar di Helga e li usano come garanzia per emettere un’obbligazione nuova fiammante e collocarla sui mercati internazionali: gli Sbornia Bond.

I bond ottengono subito un rating di AA+ come quello della banca che li emette, e gli investitori non si accorgono che i titoli sono di fatto garantiti da debiti di ubriaconi disoccupati. Così, dato che rendono bene, tutti li comprano.

Conseguentemente il prezzo sale, quindi arrivano anche i gestori dei Fondi pensione a comprare, attirati dall’irresistibile combinazione di un bond con alto rating, che rende tanto e il cui prezzo sale sempre. E i portafogli, in giro per il mondo, si riempiono di Sbornia Bond.



Un giorno però, alla banca di Helga arriva un nuovo direttore che, visto che in giro c’è aria di crisi, tanto per non rischiare le riduce il fido e le chiede di rientrare per la parte in eccesso al nuovo limite.

A questo punto Helga, per trovare i soldi, comincia a chiedere ai clienti di pagare i loro debiti. Il che è ovviamente impossibile essendo loro dei disoccupati che si sono anche bevuti tutti i risparmi.



Helga non è quindi in grado di ripagare il fido e la banca le taglia i fondi.

Il bar fallisce e tutti gli impiegati si trovano per strada.



Il prezzo degli Sbornia Bond crolla del 90%.

La banca che li ha emessi entra in crisi di liquidità e congela immediatamente l’attività: niente più prestiti alle aziende. L’attività economica locale si paralizza.



Intanto i fornitori di Helga, che in virtù del suo successo, le avevano fornito gli alcolici con grandi dilazioni di pagamento, si ritrovano ora pieni di crediti inesigibili visto che lei non può più pagare.

Purtroppo avevano anche investito negli Sbornia Bond, sui quali ora perdono il 90%.

Il fornitore di birra inizia prima a licenziare e poi fallisce.



Il fornitore di vino viene invece acquisito da un’azienda concorrente che chiude subito lo stabilimento locale, manda a casa gli impiegati e delocalizza a 6.000 chilometri di distanza.

Per fortuna la banca viene invece salvata da un mega prestito governativo senza richiesta di garanzie e a tasso zero.





Per reperire i fondi necessari il governo ha semplicemente tassato tutti quelli che non erano mai stati al bar di Helga perché astemi o troppo impegnati a lavorare.

Bene, ora potete dilettarvi ad applicare la dinamica degli Sbornia Bond alle cronache di questi giorni, giusto per aver chiaro chi è ubriaco e chi sobrio .
Piaciuta la storiella illustrata? fate i vostri commenti....
Un abbraccio Mauri




mercoledì 21 novembre 2012

               E’ RIGORE QUANDO L’ARBITRO FISCHIA  


 Di troppo rigore si muore, eppure non si può avere crescita economica senza aver riportato ordine nei conti pubblici e fiducia nel debito sovrano.
Come un ombra  lo spettro della reces­sione continua a minacciare l’Europa: la crescita del PIL è negativa anche nel 3^ trimestre e le ombre si allungano sul­la Germania che registra un rallentamento dell’attività eco­nomica e delle esportazioni. A settembre gli ordini dell’indu­stria tedesca sono calati del 3,3%, la produzione è calata del 1,8%, le esportazioni sono calate del 2,4%, dato che non ha sorpreso nel segno (due terzi delle esportazioni della Germa­nia sono verso un’Europa sempre più povera) ma nell’am­piezza (atteso -1,5%).La crescita economica per l’Europa è ancora lontana mentre l’aggressione del debito e le politiche volte alla sua stabiliz­zazione non saranno sostenibili a lungo. “Senza il nostro ri­gore oggi non ci sarebbe l’eurozona” si legge nel documento pubblicato dalla Presidenza del Consiglio “Appunti di viaggio” ad un anno esatto dal giuramento.
“Rigore è quando arbitro fischia” diceva l’indimenticabile Vujadin Boskov.
Nell’Eurozona la partita sembra cristallizzata al rigore fi­schiato dalle autorità politiche. Ma di troppo rigore si può anche morire e se nelle partite al primo tempo di gioco segue la ripresa, al rigore fischiato in Europa, non è ancora seguito il secondo tempo, la “ripresa” appunto”. E’ stato calcolato l’effetto recessivo dell’inaspri­mento fiscale intervenuto in Italia negli ultimi due governi, pari a 4 punti di PIL: “in assenza di variazioni nella politica  fiscale, l’economia italiana si contrarrà di altri due punti-due punti e mezzo. Alla luce di questi conti mi chiedo che cosa possa indurre all’ottimismo sulla crescita”. Sulla stessa lun­ghezza d’onda Mario Draghi che ha esortato a non aumenta­re le tasse.
I deficit fiscali persistenti in molti paesi europei sono arriva­ti ad un punto dove austerità e tagli alla spesa sono divenuti inevitabili e nel contempo intollerabili i loro costi sociali e politici. Una politica di austerità indiscriminata, basata su ta­gli alla spesa e incremento di carichi fiscali può rivelarsi un errore. Sono stati misurati gli effetti economici ma forse si sono sottostimati i costi sociali: le manifestazioni e gli scon­tri con le forze dell’ordine in molte città europee danno voce al doloroso allargamento degli spread sociali, al furto di fu­turo subito dai più giovani.
Sfortunatamente, non si può semplicemente sostituire l’au­sterità con la volontà di far crescere l’economia (ehi, perché nessuno ci ha pensato prima?). La strada della spesa pubbli­ca per interventi anticiclici è inibita: l’Italia negli ultimi decen­ni è stata campione di spesa pubblica ma fanalino di coda nei tassi di crescita. Il rigore dei conti in ordine resta la pre-con­dizione per continuare a finanziarsi a tassi sopportabili ma esso deve essere affiancato da misure che restituiscano spe­ranza, che facciano vedere a tutti, se c’è, “la luce in fondo al tunnel”.  L’unico sentiero per la crescita sostenibile è quello che passa per aggiustamenti e modifiche strutturali delle economie accompagnati da una nuova governance europea, vera sfida dei leader europei. L’Europa è all’ultimo miglio, la cooperazione europea costituisce probabilmente l’unico combustibile alla ripresa: se nei fatti la sovranità nazionale è già violata dalla sorveglianza e dal verdetto dei mercati, allo­ra probabilmente cooperazione e concerto sovranazionale sono le necessarie premesse per la ripartenza.
Le banche centrali, la Fed come la BCE hanno iniziato ad esplorare nuovi territori ed hanno reinventato la politica mo­netaria con strumenti eccezionali come l’allentamento quan­titativo. Si tratta di esperimenti di politica monetaria “in cor­pore vili”, praticati cioè sull’organismo pulsante dell’economia senza precedenti sperimentazioni. Efficace nel contrastare sfide cicliche di breve periodo, la politica monetaria non for­nisce però soluzioni di lungo periodo: essa “compra tempo” alla politica fiscale, l’unica in grado di sciogliere i nodi strut­turali del lavoro, dello sviluppo, della ricerca, della distribu­zione della ricchezza. La responsabilità resta alla politica perché “spetta ai governi lo sforzo maggiore nella riconqui­sta della credibilità” ha ricordato Draghi nell’inizio del suo intervento in Bocconi la settimana scorsa. I governi devono mostrarsi capaci di accettare la rinuncia parziale alla sovra­nità fiscale in cambio della condivisione comunitaria del far­dello dei debiti. “La crisi ha messo in luce la necessità di portare a compimento l’Unione economica e monetaria” ha detto ancora Draghi.
Negli Stati Uniti la vittoria di Obama conferma la prosecuzio­ne di una politica monetaria espansiva e una politica fiscale accomodante con la middle class, quel ceto medio spina dor­sale dei consumi interni. In Cina il cambio di leadership è avvenuto nel segno della continuità, proseguirà il cambia­mento strutturale dell’economia cinese, ovvero un ruolo cre­scente dei consumi interni a scapito delle esportazioni tale da rendere sostenibili tassi di crescita compresi nella for­chetta 6%-8%. Le economie di USA e Cina offrono all’Europa i chiodi in parete ai quali assicurare le proprie speranze di crescita. I leader europei dovranno dimostrarsi capaci di guardare oltre la convenienza politica del breve termine ver­so il più prezioso interesse comune. In una settimana decisi­va (Europa, Grecia, bilancio comunitario), la prevalenza degli interessi nazionali sarà dimostrazione di vista corta e coste­rà ulteriore ritardo a quella integrazione su cui sembrano tutti d’accordo. Si tratta di puntare al medesimo obiettivo perché, come dice il saggio Boskov, “per segnare bisogna ti­rare in porta”.

Un abbraccio a presto Mauri

P.S. un ringraziamento al centro studi S&G per le informazioni

venerdì 9 novembre 2012

ELEZIONI AMERICANE E POSSIBILI SCENARI FUTURI

La corsa alle elezioni è stata unica nel suo genere, vista la difficoltà nell’interpretare le previsioni di voto a causa della loro contraddittorietà. Ogni partito o quotidiano ha utilizzato differenti dati statistici ed ognuno credeva che il proprio candidato sarebbe stato vincente fino al giorno delle elezioni, con un margine rassicurante sull’avversario. Pertanto, per i mercati è stato difficile interpretare le previsioniConseguenze del voto Probabilmente Ben Bernanke rimarrà il Presidente della Federal Reserve fino al 2014 ed anche oltre; con la presidenza di Romney, per lui non vi sarebbe stata alcuna possibilità di continuare a ricoprire l’incarico. Conosciamo il modo di operare di Bernanke, quindi possiamo attenderci che non vi saranno sostanziali modifiche nei prossimi
mesi: le politiche monetarie continueranno a supportare la ripresa dell’economia e del mercato del lavoro. Il “fiscal cliff”* sarà affrontato nei primi mesi del 2013 e farà parte delle discussioni in merito ai tagli alla spesa e agli aumenti fiscali che saranno affrontati nell’ambito delle discussioni relative alla riduzione del debito pubblico, parte fondamentale del piano di spesa pluriennale. Le elezioni presidenziali hanno avuto un impatto minore in termini di composizione del Congresso: sembra che i Democratici abbiano leggermente incrementato la necessario un accordo bipartisan per analizzare la questione del fiscal cliff. La mancanza di un significativo cambiamento negli equilibri di potere a Washington dovrebbe essere favorevole per il raggiungimento di un buon compromesso, ma rappresenterà la maggiore sfida del 2013. Le tasse probabilmente aumenteranno (comprese quelle sui dividendi e sui redditi da capitale), soprattutto per i patrimoni più elevati, ma i cambiamenti non saranno incisivi tanto quanto vorrebbero i Democratici, dal momento che i partiti dovranno giungere ad un accordo sulle previsioni di spesa. Sia i Democratici che i Repubblicani nel Congresso dovranno negoziare su parte delle loro richieste in termini di tasse e spesa pubblica. La politica energetica è ancora incerta. La vittoria di Obama non è una notizia negativa sotto questo punto di vista, ma non è neanche positiva tanto quanto sarebbe stata quella di Romney. Una politica di investimenti in campo energetico sarà probabilmente implementata, ma occorrerà più tempo per definirla con l’amministrazione Obama. La spesa sanitaria potrebbe essere oggetto di pressioni da parte degli oppositori, ma la manovra implementata da Obama (c.d. Obamacare) non sarà stravolta. Questo risolve alcune controversie ed è probabilmente un buon risultato per le aziende operanti in questo settore. Anche la spesa per la difesa potrebbe essere oggetto di maggiori pressioni, ma non ci si attende un taglio netto.
Conclusioni Il risultato elettorale ha chiarito alcuni punti incerti sulla politica statunitense e questo è sempre positivo per i mercati, ma l’aspetto chiave per i prossimi mesi sarà la revisione del bilancio,  e discussioni in merito a questo tema influenzeranno l’andamento dell’economia e dei mercati nel 2013. La buona notizia è data dal fatto che Obama cercherà di giungere ad un accordo velocemente. Il rischio è dato dal fatto che se non risolvesse questo aspetto in tempi brevi, perderebbe la possibilità di raggiungere qualsiasi altro obiettivo nel corso dei prossimi quattro anni di mandato.
Un grazie al centro studi di INVESCO, alla prossima un abbraccio Mauri

lunedì 29 ottobre 2012

Razionalità ed irrazionalità, la psicologia dell’investitore e le trappole della finanza comportamentale

Il cittadino medio è in preda al panico da instabilità per il lavoro, per il risparmio e per il futuro, sia suo che dei propri figli.
Il panico è il sentimento dominante nei comportamenti di massa. Siamo abituati ad associarlo al caos e allo smarrimento, senza pensare che può essere veicolato, accresciuto oppure diminuito da segnali e comportamenti che ci circondano. Celare queste considerazioni nella realtà d’oggi, per valutarne i risvolti su economia e finanza, non può prescindere da un’attenta analisi del ruolo che attualmente rivestono i mass media e di quali e quanti siano i mezzi a loro disposizione.
La velocità con cui circolano le informazioni è aumentata a dismisura. Questo è l’aspetto fondamentale. Le azioni vengono prima del pensiero, le notizie rimbalzano tra siti internet e telegiornali come spot telegrafati. Dati, indici di borsa e previsioni sgorgano in flusso continuo chiamando i risparmiatori a prendere decisioni prima ancora di aver compreso le cause dei movimenti in atto, ammesso che queste esistano. Si creano così i comportamenti di massa, il panico appunto. L’emotività, dunque, investe i piccoli risparmiatori, come gli economisti, le grandi società d’investimento, come gli opinionisti. Vi sono buone ragioni per ritenere che siano queste le cause dell’attuale spaccatura tra economia e finanza. Mai come ora i flussi di capitale non rispecchiano le sottostanti economie, tra le quali certamente l’economia europea.
Nelle previsioni di sviluppo di un Paese gli economisti, per paura di sbagliare, tendono a mantenere la prospettiva del trend in atto, peggiorando ulteriormente la vision futura. Per ovviare a questi errori di interpretazione, in finanza si sta diffondendo una nuova scuola di pensiero che si sviluppa attraverso una disciplina a cavallo tra psicologia ed economia. Essa studia l’impatto dell’emotività nei comportamenti dei risparmiatori, estendendolo al modo di agire degli operatori, siano questi economisti, ricercatori o gestori.
La finanza comportamentale è una branca relativamente nuova della psicologia che si occupa di studiare il comportamento degli individui di fronte alle scelte di investimento; l'idea alla base di questa disciplina è semplice: i mercati sono costituiti da persone che interagiscono tra loro sulla base sì di informazioni oggettive ma anche della loro personale percezione e interpretazione di queste ultime; a volte il comportamento di una parte o di un gran numero di soggetti esce da modelli propriamente razionali proprio per l'intervenire di fattori psicologici o per l'errata percezione delle informazioni a disposizione. Ci troviamo, come nel 2011, ad assistere a mercati in preda al panico senza un preciso motivo, solo perché informazione e comportamenti di massa provocano movimenti unidirezionali senza un obiettivo specifico, finendo inevitabilmente a favorire gli speculatori(sempre gli stessi), incassando perdite e sentiment negativo che le conseguenze comportano, ripeto senza una motivazione di fondo accettabile; allo stesso modo(sempre con la memoria corta) i mercati salgono seguendo il movimento del denaro e non delle aspettative che ultimamente giocano un ruolo molto marginale.
Ma non ci sono rose senza spine, ed anche in campo di analisi psicologica esistono dei fenomeni che interessena l’investitore e che possono influenzare le scelte d’investimento razionali.
Di seguito elencati con una breve definizione i principali comportamenti indiziati che possono generare conseguenze poco piacevoli:
-istinto gregario: tecnicamente è definito come la tendenza a seguire la massa e ad adattare il proprio pensiero all'opinione prevalente.
-distorsione da autoattribuzione: gli esperti la definiscono la tendenza ad attribuirsi il merito di un evento favorevole anche se in realtà le cose non sono andate così.
-distorsione della rappresentazione: è definita come la tendenza a immaginare parallelismi fra eventi che appaiono simili ma che sono in realtà profondamente diversi.
-dissonanza cognitiva: gli psicologi la descrivono come la predisposizione ad ignorare le informazioni che non corrispondono alla propria visione del mondo.
-avversione alle perdite: nella psicologia dell'investitore medio è visto come estremamente negativo chiudere una posizione in perdita per questo si preferisce mantenere in portafoglio titoli anche con prospettive future negative invece di liquidarli.
-ancoraggio: è la tendenza delle persone, di fronte a decisioni complesse, di formarsi un numero o punto di riferimento sulla base del quale effettuare le proprie scelte.
Come evitare le trappole della finanza comportamentale? Innanzi tutto diventando coscienti che esistono e ricordando che a volte gli elementi irrazionali prendono il sopravvento su un mondo che, in fondo, è costituito da individui e non da macchine.
Alla prossima, un abbraccio Mauri

mercoledì 12 settembre 2012

FINANZA COMPORTAMENTALE, OVVERO....LEZIONI DI COMPORTAMENTO FINANZIARIO


Nel marzo 1952 nacque quella che oggi conosciamo come la “Moderna Teoria del Portafoglio”. Negli anni ‘90 fu tutto un parlare di frontiere efficienti, media varianza, performance “risk-adjusted”, ottimizzazioni di portafoglio.
Le banche e le società di gestione cominciarono ad assumere massicciamente laureati in matematica e statistica, nacquero i primi “Quant Department” ovvero team di matematici che applicavano ai mercati modelli quantitativi di ottimizzazione.
Quando nel 2002 il premio Nobel per l’Economia venne assegnato ad uno psicologo per il suo lavoro nella finanza comportamentale, gli operatori alzarono la testa dai modelli per scoprire che nella realtà l’homo oeconomicus non esiste, che gli individui non agiscono secondo criteri di razionalità ma sono sempre condizionati dai propri limiti, dalle emozioni, dalle informazioni e dalle competenze imperfette.
Ma allora chi ha ragione, o meglio, cosa è più utile, la moderna teoria del portafoglio che descrive il funzionamento dei mercati con eleganti modelli matematici, o è invece più adeguata la finanza comportamentale che descrive come funziona la testa degli individui e dunque il loro comportamento?
La domanda è volutamente ingannevole: naturalmente sono utili entrambe.
Harry Markowitz ha avuto il grande merito di ricondurre il rischio dalla dimensione impalpabile di concetto (le obbligazioni sono meno rischiose delle azioni) alla dimensione concreta e misurabile di numero (la deviazione standard) e ha portato in evidenza la nozione cruciale di correlazione: una coppia di titoli assicurativi ad esempio non costituisce una diversificazione forte come quella data da un titolo assicurativo ed uno industriale (nei termini tecnici della teoria di portafoglio, la co-varianza della seconda coppia è inferiore alla co-varianza della prima coppia costituita da due titoli del medesimo settore).
D’altro canto la finanza comportamentale ha il merito di evidenziare i limiti della (presunta) razionalità, ammonisce che le regole dei mercati finanziari sono controintuitive e il loro contrasto con la natura umana richiede un maggiore impegno per evitare errori.
Meglio ancora, è opportuno frapporre qualcuno, come un esperto o un Consulente Finanziario, tra le scelte di investimento e le emozioni che inevitabilmente condizionano i comportamenti: nessuno rinuncerebbe ad un avvocato in una controversia giudiziale, o a un chirurgo nel caso di bisogno, eppure molti investitori pensano di poter “fare da sè” la propria pianificazione finanziaria.
Anche pensando alla necessità del Consulente finanziario, cioè tenere insieme la tecnica con la mente, le esigenze e le emozioni "irrazionali" spesso fanno commettere errori imperdonabili, frutto di una errata valutazione del rischio, ma ancor di più di una cattiva pianificazione in sede di allocazione delle risorse finanziarie, causata da emozioni del momento o da emulazioni con personaggi il cui comportamento e relativo profilo di rischio non corrispone affatto all'interessato.
A partire da questo mese, in collaborazione con l'Università "Ca' Foscari" di Roma e con un partener di eccellenza come Swiss&Global, e per circa 6 mesi, perfezionerò la mia conoscenza in merito, ed avrò(per chi lo desidera) cura di aggiornarvi sugli aspetti che riterrò essere interessanti.
Un abbraccio a presto
Mauri

mercoledì 5 settembre 2012

                                            DOV'E' LA CONSOB????????

Stamttina leggendo come mio solito informazioni sui mercati finanziari e sullo stato dell'economia, mi sono imbattuto in un articolo che riporto fedelmente, in Italia purtroppo non si cambierà mai, esistono figli e figliastri..... buona lettura e grazie all'autore "Luca Ciarocca".


Partiamo dai dati di fatto: il titolo RCS Media Group, l'azienda quotata a Piazza Affari a cui fa capo il Corriere della Sera, e' target di un rastrellamento forsennato e improvviso. Sotto l'occhio spento e poco vigile della Consob, il 3 agosto 2012 RCS prezzava €0,4550, il 24 agosto (inizio della forte risalita) €0,5570, ieri 3 settembre ha chiuso a €1,70. La variazione e' da capogiro, il valore in borsa del gruppo editoriale e' triplicato in meno di due settimane, con un rialzo pari a +205,21%.

Ebbene, diciamolo, si tratta di un rastrellamento scandaloso, con la complicita' indiretta dell'organo di controllo della borsa, che non batte ciglio e anzi pare avallare con la sua inazione il fatto che un titolo quotato possa piu' che triplicare di valore in pochi giorni, mentre la stessa Consob solleva obiezioni se Camfin (e' successo ieri) sale del +7%.

L'odontotecnico divenuto immobiliarista Stefano Ricucci era nessuno al confronto, quando tento' la scalata a Rizzoli/Corriere della Sera nel 2005 (anche se all'epoca non c'erano i problemi dello spread, la recessione in Europa, la crisi globale, per cui il titolo strappo' a 7 euro). La cosa piu' grottesca e' il silenzio assoluto del resto dei media italiani: nessuno vuole andare a toccare il caposaldo dei "poteri forti" e del loro quotidiano, il Corriere della Sera. Per cui nessuno ne parla. A parte gli amici di Dagospia (vedi a fondo pagina).

Centrale all'intera questione e' comunque il fatto che RCS Media Group (scheda) abbia un flottante (cioe' la parte di azioni disponibile per le contrattazioni libere sul mercato) di appena l'11%, mentre la legge e i regolamenti chiaramente indicano una quota minima di flottante per le aziende quotate pari al 25% (Vedi nota a fondo articolo).

Per quel che sta accadendo, il titolo RCS dovrebbe essere sospeso ad infinitum, qui e ora, oppure bisognerebbe iniziare la procedura per ritirare l'azione dal mercato azionario e "riprivatizzare" la societa': cosi' e' una farsa, il solito giocattolo in mano alle caste, per esclusivi fini di potere.

Quel che e' peggio, il governo di Mario Monti e il presidente della Consob Giuseppe Vegas stanno garantendo l'impunita' a chi scala il Corriere della Sera. L'obiettivo e' noto anche ai piu' sprovveduti: poter arrivare a manipolare la cruciale battaglia politica elettorale di primavera, quando andremo a votare, controllando il quotidiano "numero 1" in Italia per vendite (anche se si tratta di poco piu' di 400.000 copie al di').

In un articolo pubblicato a giugno 2012 Wall Street Italia ha evidenziato che sono soltanto sei (6) i quotidiani che superano il tetto delle 100.000 copie effettivamente vendute ogni giorno al netto delle rese, una classifica che ci pone al livello di un paese del quarto mondo. "Poteri forti" quindi, ma mica tanto.

Ecco la tabella (nel link sotto la lista e i dati ADS completi):


Corriere della Sera........... 411.244

La Repubblica................. 350.289

La Stampa..................... 219.989

Il Sole 24 Ore................. 176.896

Il Messaggero................. 170.674

Il Giornale...................... 131.388

Il Resto del Carlino.......... 128.646
CLASSIFICA ADS DIFFUSIONE E VENDITA DI TUTTI I QUOTIDIANI ITALIANI, APRILE 2012

SULL'ARGOMENTO LEGGI ANCHE:
CROLLO DI VENDITE DEI QUOTIDIANI, SOLE 24 ORE "NON SIAMO MORTI"

Aspetteremo pazientemente una risposta della Consob, qui su Wall Street Italia; queste sono critiche di una testata online con oltre 400.000 visitatori unici al mese (non pochi, nel segmento Economia/Business, anche perche' sono lettori che fanno opinione nella societa' civile); una richiesta di delucidazioni a cui l'organo di controllo dei mercati non puo' sottrarsi (il Presidente e' Giuseppe Vegas, i Commissari attualmente sono Vittorio Conti, Michele Pezzinga e Paolo Troiano, durano in carica sette anni senza possibilità di un secondo mandato e sono stati nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri).

lunedì 25 giugno 2012

                        QUALE FUTURO CI ATTENDE?...


Come ha efficacemente sintetizzato Münchau sul Financial Times , la Bundesbank ha detto che non ci può essere un’unione bancaria senza un’unione fiscale, la Merkel sostiene che non ci può essere un’unione fiscale finché non ci sarà quella politica e Hollande ha precisato che non ci può essere un’unione politica finché non ci sarà un’unione bancaria. Nel gioco delle parti, ognuno cerca di passare la patata bollente al vicino per non scottarsi le dita, invocando la necessità di un primo passo da parte degli altri.
Le elezioni greche hanno visto la vittoria degli "europeisti" del partito conservatore greco: sarà l'inizio di un cammino lungo e doloroso del Paese per entrare negli schemi dei diktat teutonici, o più semplicemente e pragmaticamente il passo necessario per avere un altro po’ di soldi dall'Europa?

Le logiche che prevalgono oggi sono quelle di breve termine, in grado di portare prevedibili risultati concreti nell’immediato. Che poi questi durino nel tempo interessa relativamente poco, essendo comunque il futuro incerto e variabile. La gente vuole risultati immediati in ogni campo.

I politici europei, i governi, le decisioni dei sistemi democratici attuali vengono valutati dai mercati finanziari globali, che ragionano overnight, scontando ogni possibile scenario sulla brevissima distanza in positivo o negativo. I tempi della Democrazia europea sono molto lunghi. All'aumentare dei rischi di un fallimento dell'euro, con effetti su scala sistemica – come potrebbe avvenire, per esempio, in caso di fallimento delle banche spagnole - aumenta anche il calibro delle cartucce sparate  - si veda il bailout da 100 miliardi di euro della Spagna. Il problema, tuttavia, è che si tratta pur sempre di cure palliative che vengono subito digerite e annullate dal mercato: al momento in cui scrivo lo spread decennale Spagna-Germania è al suo record massimo storico (5,684599%)… !

Ecco un altro esempio degli effetti di questa asincronia tra mercato e politica: leggo in un report finanziario (e già scaduto di validità)  che venerdì Moody’s ha definito la Polonia un “safe heaven”, sulla base di una valutazione fondamentale del Paese e della sua economia. Questo ha generato un rally sulla Polonia (valuta e Cds) che però, essendo considerata ad "alto beta" (vale a dire reattiva nel bene e nel male), al momento in cui sto scrivendo a seguito delle incertezze sull'Eurocrisi che continuano a persistere ha già quasi completamente ritracciato.  Ormai scrivere di finanza non ha quasi più senso: viviamo in un mercato umorale, risk on - risk off, che prevarica in velocità la profondità di qualsiasi analisi.

L'estate che ci aspetta sarà lunga e calda, mentre le sfide aperte richiedono anzitutto ai politici spalle più larghe di quanto un essere umano possa avere. Dunque l’incertezza continuerà a regnare sovrana.
Qualche giorno fa ho preso parte ad un meeting organizzato dal “Centro studi Ilva”, relatori eccezionali, grande preparazione e proprietà di linguaggio adeguata a trasmettere al meglio concetti e situazioni economico/politiche che caratterizzano il nostro paese e non solo.
Il professor Gilardoni, bocconiano doc, ha mostrato uno studio durato più di un anno, ed inviato gratuitamente al nostro “Governo” sui costi del “non fare”, impressionanti i numeri e soprattutto le occasioni perse, non siamo in grado di presentare progetti che permettano l’utilizzo di fondi europei, e stiamo parlando di svariati milioni di euro, occasioni perse per creare e migliorare non solo infrastrutture ma anche e soprattutto posti di lavoro, lungimirante e quanto mai vero, l’intervento del rappresentante di CONFINDUSTRIA di Brindisi, il quale con una disamina quasi chirurgica della situazione Italia, ha concluso il suo intervento fotografando la situazione del mezzogiorno esaltandone l’immobilità e l’assenza di idee, solo perché queste vengono sistematicamente bocciate o rinviate nella messa in opera facendo scadere puntualmente i termini per poter usufruire dei fondi della Comunità Europea.
Cari amici, la situazione è di un immobilismo disarmante in tutti i settori, sui libri di economia ho studiato la “deflazione” termine quanto mai discusso nel suo significato intrinseco, ma che abbiamo potuto osservare da vicino analizzando nell’ultimo decennio la situazione economica della potenza Giappone. Mancano i leader, quelli veri, capaci di assumersi le responsabilità delle scelte, non giochiamo da soli la partita, dobbiamo fare molta attenzione, per ora abbiamo avuto solo la fortuna di arrivare ai supplementari ma il tempo sta per scadere…
A presto Mauri

domenica 10 giugno 2012

...QUALCOSA DI NUOVO?...

Con riferimento alle principali economie mondiali, secondo le stime del Fondo monetario internazionale (Fmi) il peso del deficit sul Pil dei Paesi industrializzati e l'indebitamento dei Governi sono destinati a salire vertiginosamente nei prossimi anni (dal 78% al 118%): il motivo principale è da ricercarsi non tanto negli immensi programmi di aiuto alle banche e di supporto alla congiuntura, bensì nel crollo del gettito fiscale e nell'aumento della spesa pubblica, necessaria per supportare le misure anti-recessive quali, primi fra tutti, i sussidi alla disoccupazione. Oltre a questo, gli Stati dovranno anche introdurre nuovi ammortizzatori sociali per una popolazione che invecchia sempre più.
Ogni tanto fa bene allargare la prospettiva ed esaminare la situazione con il grandangolo....la situazione appare preoccupante! Non solo il debito dei Paesi è già sostanzialmente salito (negli Stati Uniti il debito ad agosto ha sforato il 100% ), ma gli attuali livelli non tengono conto delle misure di sostegno per le banche e per rianimare la congiuntura. Misure ancora da realizzare e che oggi più di due anni fa appaiono di importanza vitale. Tuttavia la gravità del contesto può essere letta anche in chiave ottimistica: Nella situazione in cui siamo, forse solo la presenza imminente di un'immane catastrofe finanziaria potrebbe spingere governanti e governati ai passi radicali di riforma di cui necessita il nostro Vecchio Continente. Questa valutazione, che scrissi nell'aprile dell'anno scorso, è ancora assolutamente attuale.
Con la Grecia allo sbando e la Spagna che - incapace di ricapitalizzare le sue banche (Bankia necessita a breve di oltre 40 miliardi di euro, mentre il settore bancario è zavorrato da 180 miliardi di cattivi crediti ipotecari) e con interessi sul debito sempre meno sostenibili (avviati verso quella soglia limite del 7% che ha costretto Irlanda e Portogallo, dopo la Grecia, a chiedere aiuto alla Troika) - dichiara per voce del suo primo ministro Mariano Rajoy la disponibilità a cedere il controllo sul bilancio statale, lo scenario è già sufficientemente negativo. Ma per completarlo occorre citare anche la dinamica che vede lo spread italiano seguire nei brutti momenti quello spagnolo, indicando la strada per un nuovo, violento attacco speculativo contro il Bel Paese (come non bastasse il terremoto), qualora la Spagna dovesse capitolare.
Tuttavia nel fine settimana qualcosa è cambiato e ora Angela Merkel, secondo fonti a lei vicine, pare più incline a valutare quel progetto di unione politica e fiscale europea di cui si parla (gli "Stati Uniti d'Europa" di cui scrivevo qualche tempo fa). Il tema viene portato avanti con tante prospettive quanti sono gli interlocutori (di rilievo).
Una seconda variante dello scenario considera l'incapacità politica tedesca, ma non solo - di arrivare in tempi brevi a un accordo di unione fiscale e di conseguenza favorisce un'azione portata avanti dalla Banca centrale europea. Questo intervento verterebbe in prima istanza su una "denazionalizzazione" di fatto delle principali banche europee, che verrebbero sottratte alla "giurisdizione" quantomeno finanziaria dei vari Stati per essere direttamente controllate dalla Bce. Questo implicherebbe la disponibilità di un rafforzato fondo di ricapitalizzazione e di un fondo di garanzia gestito insieme a organismi di supervisione centrali.
Qualsiasi variante si valuti, comunque, sarà impossibile farla passare senza il benestare dei tedeschi. Ragione per cui, si fanno sempre più maturi i tempi per svelare il bluff (28 novembre 2011, Il bluff della Germania) della secessione e per mettere in tavola le carte con cui verrà negoziato il nuovo equilibrio politico europeo.
Ma una cosa è sicura: wir werden alle ein bisschen mehr Deutsch sprechen! (parleremo tutti un po più in tedesco!).
A presto Mauri

lunedì 23 aprile 2012

IL FUTURO SARA’ DI CHI RACCOGLIERA’ LA SFIDA

"Compito della finanza è trasferire denaro da investitori a imprenditori che ne necessitano per lo sviluppo della loro attivita'. La finanza rende possibile questo flusso tramite i mercati finanziari e i veicoli di investimento a disposizione di investitori e business. Complessivamente la finanza ha diversi importanti utilizzi che contribuiscono alla crescita economica". Di definizioni come queste, che ho trovato online, ne esistono a decine. Naturalmente sono tutte giuste. Eppure, allo stesso tempo, sono anche irrimediabilmente parziali e ormai spesso superate.

Nel mondo sempre più globalizzato e interconnesso in cui viviamo, nella maggior parte dei casi investitori e imprenditori non vivono più nella stessa città, nemmeno nella stessa regione, spesso neanche nella stessa nazione e sempre più frequentemente si trovano addirittura in continenti diversi. I mercati finanziari diventano allora l'unico interlocutore che si interfaccia da un lato con i risparmiatori-investitori e dall'altro con le imprese. La finanza ha eliminato la relazione tra chi investe denaro e chi lo riceve (in prestito o a titolo di capitale). Ma è anche andata molto oltre: ha creato denaro dal nulla, tramite istituti bancari e Banche centrali e, piu recentemente, con lo sviluppo dell'industria degli hedge fund - che ora nella legislazione europea (e in molte altre) sono assimilati ai tradizionali strumenti long only (ovvero quelli che non vendono titoli che non possiedono). Ha creato denaro dalla perdita di denaro (quando vendo un'azione, una divisa o un titolo che non possiedo e questo perde valore io realizzo un guadagno). Come un’antimateria che si accresce dalla distruzione della materia. In un certo senso è normale. L'essere umano evolve e cerca nuove dimensioni per l'affermazione di se stesso e delle sue capacità nei confronti dei suoi simili.

Ma cosa comporta questo fenomeno se lo guardiamo su scala globale? Il Prodotto interno lordo (Pil) mondiale a fine 2011 era pari a 79 trilioni di dollari (valutati  con il criterio del Purchasing pricing power, secondo dati della World Bank). Il valore totale dei titoli finanziari (comprendente capitalizzazione delle Borse mondiali, obbligazioni e prestiti emessi) era invece pari a 212 trilioni di dollari, evidenziando una crescita del debito globale negli ultimi 10 anni dal 218% al 266% del Pil mondiale (fonte Mc Kinsey). Alla metà dell'anno scorso il valore totale dei titoli derivati (forward, swap e option) circolanti nel mondo ammontava a 707 trilioni di dollari (!), ed era aumentato di 125 trilioni negli ultimi 12 mesi (!!), più di una volta e mezzo il Pil mondiale (!!!) (fonte Banca dei regolamenti internazionali).

Leverage tra pericoli e opportunitàSemplificando, possiamo dire che il mondo è "a leva" di circa dieci volte e la tendenza va verso un ulteriore rialzo. Come si sa,  i derivati (in particolare i future) sono i più veloci, liquidi ed economici strumenti finanziari esistenti. Nonostante la regolamentazione internazionale stia crescendo, sarà difficile arrivare a una limitazione nell'uso di questi strumenti. Nella migliore delle ipotesi riusciremo a incrementarne il livello di regolarizzazione (scambio su mercati regolati) e di controllo.

Qual è il nesso con la crisi europea che continua a influenzare l'economia mondiale? Data questa chiara e marcata tendenza all’aumento della "finanziarizzazione" internazionale, pur con tutto il buon senso che siamo in grado di esprimere, mi chiedo quanto sia ragionevole e lungimirante da parte degli Stati, e in particolare di quelli europei, puntare tutto, come sta facendo la Germania della Merkel e ora sempre più l'Italia di Monti, sul rigore di bilancio. Per esempio prevedendo nella Costituzione il divieto di deficit e imponendo aprioristicamente la riduzione del debito. Se il mondo è “a leva”, finanziariamente parlando, del 1000% del Pil (10 volte) e molte banche europee lo sono addirittura di 40 volte è saggio per uno Stato puntare a leva zero? O meglio, più che saggio, è ragionevolmente percorribile questa strada?

“Levereggiare”, dal francese lever che vuol dire “sollevare”, significa amplificare una forza di input per ricavarne una maggiore di ouput: basta che io utilizzi un lungo bastone ed ecco che riesco a sollevare un macigno. L'accezione di per se è positiva. Dipende naturalmente cosa vado a levereggiare. In fin dei conti, l'imprenditore che si indebita ben oltre il 100% del suo patrimonio per realizzare un’impresa di successo non è encomiabile? Non va sostenuto? Ovvio che se uno Stato si indebita per creare e mantenere un apparato pubblico inefficiente, che si autoalimenta con regolamenti astrusi e leggi contraddittorie, compie una distruzione di valore. Ma non avviene altrettanto se invece libera risorse per incentivare imprenditori meritevoli.

Il fatto di riconoscersi individualmente e collettivamente colpevoli  (anche per quel latente senso di colpa da peccato originale che ogni italiano ha e che le complicazioni dell'amministrazione pubblica istigano a nutrire) e inseguire, rinnegando la vitalità e l’intraprendenza italiana, i dogmi di uno pseudo neo-protestantesimo ipocrita rischia di spegnere definitivamente i pochi focolai di crescita del nostro Paese per metterci alla mercè di uno Stato che dalla situazione attuale ha già ampiamente tratto vantaggio.

Le elezioni politiche che si terranno ora in Francia se da un lato, con la risalita della sinistra, potranno generare a breve un nuovo shock sui mercati, dall'altro forse romperanno quel sodalizio Merkel-Sarkozy che, avendo di fatto fallito nella gestione della crisi attuale, rischia di portare se non a una dissoluzione dell'euro senz'altro a un'involuzione ulteriore della crescita europea. Continuare a tirare la corda è ormai quanto di più inopportuno  possano fare i tedeschi: le richieste di garanzie collaterali sui 500 miliardi di crediti che vanta la Bundesbank verso gli altri Paesi dell'euro è di fatto una assurda minaccia di dissoluzione dell'euro, che pare le grandi banche europee stiano prendendo sul serio avendo iniziato a pareggiare partite creditorie e debitorie verso i Paesi terzi dell'Unione in modo che se si ritornasse alle divise locali eventuali svalutazioni o rivalutazioni dei cambi non andrebbero a impattare sui bilanci. La Grecia è allo stremo e se ai greci rimarrà solo l'orgoglio, cosi come la storia ci ha mostrato, faranno valere quello staccandosi loro dall'Unione e creando un precedente per altri Paesi, con il conseguente rischio di un banking run nel quale gli investitori cercherebbero di portare i loro capitali nei Paesi finanziariamente percepiti come stabili. Il risultato sarebbe un tracollo finanziario globale: pensate a una valanga pari a 10 volte il Pil mondiale che si può abbattere in pochi secondi su tutti i valori di Borsa… - Tilt -.

La Germania in cuor suo sa, e molti onesti tedeschi lo ammettono apertamente, che - oltre a non potersi permettere come nessun altro Stato un cataclisma finanziario mondiale - avrebbe difficoltà enormi a uscire dall'Euro e a subire un Marco tremendamente rivalutato: tutta la sua industria ne perirebbe.

Se non vogliamo tornare a un nuovo Medioevo europeo, in cui pero' verremmo velocemente colonizzati dai forti Paesi emergenti, è bene svegliarci e rilanciare con forza iniziative di crescita delle nostre millenarie esperienze e capacità di cittadini europei.

A presto Mauri


Grazie a Francesco Tarabini Castellani del Gruppo Bancario Svizzero “Vontobel

giovedì 19 aprile 2012

PROSPETTIVE ECONOMICHE E DI MERCATO 2° TRIMESTRE 2012


L'Economic Outlook annuale di dicembre si apriva con tre domande fondamentali: l’economia degli Stati Uniti saprà riconfermare il
miglioramento della performance evidenziato ultimamente? La crisi
dell’Eurozona verrà risolta in modo efficace e tempestivo? E
l'economia cinese eviterà un atterraggio duro nel 2012?
Giunti a fine marzo, le risposte sin qui date ai tre quesiti sono solo
parziali.

Negli USA, la ripresa procede a ritmo piuttosto lento. Riportando le
parole di Dennis Lockhart, Presidente della Federal Reserve di
Atlanta, a seconda dei dati che osserviamo, l'economia statunitense
può essere descritta come un bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno.
Sono stati compiuti incoraggianti passi avanti in termini di
investimenti aziendali, utili societari, vendite al dettaglio e mercato
del lavoro. D'altro canto, il settore immobiliare e le prospettive di
deficit federale non hanno registrato grandi progressi e permangono dei dubbi per il futuro.

Nell'Eurozona, due consistenti iniezioni di fondi nel sistema bancario da parte della BCE e due operazioni di rifinanziamento LTRO nei mesi di dicembre e febbraio, complessivamente pari a quasi 1.000 miliardi di euro, hanno fatto allentare la stretta finanziaria sul sistema bancario, mentre il completamento dell'operazione di swap dei titoli di debito greci avvenuta in marzo – sebbene con l'uso di clausole di azione collettiva - ha fatto decisamente migliorare il sentiment in tutto il continente. Le due misure costituiscono tuttavia meri palliativi di breve durata e non sono soluzioni permanenti.

In Cina, l'economia ha evitato “l'atterraggio duro” ma sta ancora
rallentando in modo evidente. Le dichiarazioni dei leader politici
come il Premier Wen Jiabao, che prevede una crescita del PIL reale nel 2012 limitata al 7,5%, e l'esigenza di ulteriori adeguamenti al ribasso dei prezzi degli immobili, hanno scoraggiato gli investitori
azionari e coloro che speravano in un veloce passaggio a una nuova fase di allentamento monetario. Ne ha di conseguenza risentito il sentiment sui mercati finanziari locali.

Inflazione e previsioni di crescita

La diversità di risultati in queste tre aree principali ha complicato i
trend dei mercati dei capitali globali. Queste correnti trasversali,
associate a periodici interventi delle banche centrali sui mercati del
credito, si sono tradotte in una continua volatilità, sia a livello
azionario che obbligazionario. Tale situazione ha portato al
persistere di una propensione al rischio altalenante sui mercati
finanziari – con giornate in cui la tendenza delle operazioni risultava
favorevole agli investimenti rischiosi o, al contrario, ad attività
considerate beni rifugio. È probabile che tale andamento continui
fino a quando non si chiariranno le tendenze del ciclo economico
nelle principali aree geografiche o economiche.
Considerando le principali valute, l'euro è riuscito a resistere rispetto al dollaro USA, allo yen giapponese e alla sterlina. Tuttavia, dopo un periodo forte in gennaio e febbraio, a marzo molte divise di paesi emergenti hanno registrato un indebolimento. Anche in questo caso, fino a quando il ciclo economico sottostante non sarà più chiaro, le oscillazioni valutarie continueranno con ogni probabilità a rispecchiare le preoccupazioni a breve termine piuttosto che fattori ciclici di lungo periodo.
A fronte della probabilità che i tassi applicati dalle banche centrali
nei paesi avanzati restino prossimi allo “zero bound” per un periodo
prolungato, ritengo che gli investitori continueranno ad andare alla
ricerca di rendimento. A mio avviso, tale situazione a sua volta farà
salire la valutazione dei titoli di qualità elevata in grado di generare
rendimenti sicuri e sostenibili rispetto ad asset che generano flussi di reddito più ridotti. Tra gli esempi di tali “asset di qualità” si possono ricordare le obbligazioni corporate e high yield nel settore del reddito fisso, azioni con elevati dividendi protetti da una crescita
costante degli utili e dotati di una solida copertura da performance
economiche sotto la pari, o fondi immobiliari che possono offrire
flussi stabili e sostenuti di ricavi da locazione.
Per quanto riguarda le materie prime, a parte il petrolio, favorito da
timori di instabilità geo-politica o addirittura di un conflitto in Iran e
nello Stretto di Hormuz, le altre materie prime, sia agricole che
industriali, restano vulnerabili alla possibilità di rallentamenti in Asia
ed Europa.

A presto Mauri

La sintesi proviene dallo studio di J.G. capo economista di Invesco A.M.

martedì 3 aprile 2012

     LA CRISI EUROPEA E PROSPETTIVE FUTURE



 
È finita la crisi europea?
 Molti  politici, ma anche uomini di mercato - hanno risposto affermativamente a questa domanda, dopo la ristrutturazione del debito greco. Ma poi operatori, esperti e analisti hanno cominciato a chiedersi chi sarebbe stato il prossimo Stato a ristrutturare: Portogallo, Irlanda...
E la Spagna ? Nella Penisola Iberica si concentra buona parte del problema perché, al contrario dell'Italia, è il settore privato a detenere il maggiore indebitamento: secondo Eurostat, alla fine del 2010 famiglie e imprese non finanziarie erano indebitate per il 227,3% del Pil spagnolo. Alcuni importanti economisti, sostengono addirittura che la mossa della Bce - con l'operazione di rifinanziamento delle banche Ltro - in realtà non ha comprato tempo ma, togliendo la pressione necessaria per accelerare il processo di riforme politiche e aggiustamenti economici, ha peggiorato le cose.
In parte concordo con questa diagnosi, in parte non la condivido.
Guardando a quello che è successo sui mercati finanziari giovedì scorso sembrerebbe avere ragione questa tesi. Lo sciopero generale spagnolo contro le riforme, i timori di un terzo pacchetto di aiuti per la Grecia che ha chiesto uno slittamento dei tempi per le privatizzazioni, le insicurezze relative a un efficace rafforzamento dei due fondi di stabilità europei - uniti a due aste di titoli di Stato in Spagna e Italia non eccessivamente positive e a dati peggiori delle aspettative sulla disoccupazione negli Usa - hanno portato a una riapertura degli spread spagnoli e italiani e a una seduta borsistica marcatamente negativa.
D'altra parte, se la Bce non fosse intervenuta probabilmente avremmo cominciato a subire il rischio di qualche rilevante fallimento bancario. Tutti sappiamo quali sono state le conseguenze dell'ultimo grande esempio - quello della Lehman - e i governanti del mondo, consapevoli di non potersi permettere di nuovo il rischio di un collasso economico e finanziario globale, avrebbero dovuto mettere insieme in fretta e furia una ennesima linea di difesa, peggiorando la loro già precaria credibilità e disastrando ulteriormente le finanze statali.
Dunque la soluzione di Draghi ha comprato tempo: ma tempo per fare cosa?
Le banche, esattamente come gli individui che vedono di nuovo i corsi delle loro azioni e obbligazioni salire, sono libere di scegliere tra due opzioni:
 1) possono gioire di questo artificioso miglioramento e magari "speculare" (le une) levereggiando con i prestiti all'1% su investimenti di rischio in grado potenzialmente di fargli guadagnare buoni risultati di breve termine e "spendere" (gli altri) in consumi o investire anche questi in attività di rischio. Oppure:
 2) possono (le une) usare questa liquidità per sistemare i bilanci riducendo gradualmente la leva (buona parte delle banche europee fino a poco tempo fa aveva ancora bilanci fortemente levereggiati) e ristrutturare il proprio business sulla base della richiesta di mercato e risparmiare (gli altri) riducendo magari il mutuo sulla casa e aumentare la propria competitività sul mercato del lavoro, preparandosi a tempi potenzialmente peggiori.
 Sul mercato si parla già di banche-zombie tenute in vita artificialmente.
Sono opzioni concrete che ogni impresa e ogni privato (che ne ha la possibilità) deve valutare per assumere una decisione consapevole.
Ciascuno di noi, personalmente, si confronta con queste scelte.
Da un lato, oltre alla predisposizione personale, credo che un atteggiamento di rigore eccessivo - risparmio bigotto e investimenti in liquidità, o a bassissimo rischio - sia controproducente per il singolo come per la collettività: chi ha soldi ritengo sia giusto che li spenda per non sottrarli dal ciclo di crescita, o che li investa in bond e azioni di imprese sane agevolandone la crescita.
Dall'altro lato non possiamo però dimenticare che la globalizzazione (nei processi produttivi, nei consumi, nell'informazione, e così via) procederà e che la competitività aumenterà ancora, mentre la sicurezza del posto di lavoro diminuirà.
Sarà un mondo sempre più complesso. Per tutti, che lo si voglia o no: un mondo nel quale, comunque, la meritocrazia, le capacità individuali e l'imprenditorialità troveranno più spazio che nel passato, perché comportamenti collettivamente fallimentari porteranno realmente al fallimento di imprese così come di Stati.
 Ciascuno può decidere se partecipare a questo processo, oppure esserne "vittima" inconsapevole.
 La mobilità di nuove forze lavoro aumenterà ulteriormente e nuove soluzioni a prezzi più competitivi continueranno a svilupparsi.
 In conclusione: per avere lo stesso posto di lavoro occorrerà impegnarsi di più o essere migliori e comunque la probabilità di perderlo aumenterà. Ridurre l'indebitamento familiare - cosa più frequente in Spagna e molto meno in Italia - e contrastare le speculazioni finanziarie sarà altrettanto importante.
Le banche sono chiamate a fare lo stesso ragionamento e quando scadranno gli extra finanziamenti della Bce si vedrà chi avrà fatto i compiti a casa e chi no.
Buona Giornata a presto
Mauri