mercoledì 25 gennaio 2012

Mercoledì 25 Gennaio 2012
Qualche mese fa, discutendo di finanza su facebook con alcuni amici/e, su quella che era la situazione economica dell’Europa e dell’Italia, dell’impatto della manovra finanziaria sul mercato, e soprattutto dell’altalena del fantomatico “spread”, dissi che solo l’uso di armi pesanti da parte della BCE poteva risolvere(o almeno dare una buona spallata) il problema. Armi che facevano parte del bagaglio della Banca Centrale, solo che il veto della Germania e Francia, non ne permettevano l’uso.
Oggi penso che con un po’ di buon senso e soprattutto con un po’ più di responsabilità, tutta la speculazione cui abbiamo assistito(perché di pura speculazione si è trattato a vantaggio di chi non spetta a me dirlo), e quella ancora in atto(anche se più contenuta), probabilmente avrebbe avuto effetti meno devastanti.
Leggete questo commento e vi renderete conto(parlavo di bazooka già 3 mesi fa).
La Banca Centrale Europea ha infine realizzato che non aveva altra scelta e a dicembre ha fatto fuoco con il suo bazooka. L’impatto è stato enorme. I rendimenti dei titoli di stato italiani a due anni si sono ridotti di oltre la metà rispetto al picco di 7.5% visto alla fine di novembre. Molti fondi hedge che scommettevano sulla svendita dei titioli di stato italiani hanno anch’essi cambiato la loro visione e guadagnato, o hanno liquidato le loro posizioni visto che il mercato era andato contro di loro.
Gli investitori di soldi reali sono tornati sul mercato dei titoli sovrani dell’eurozona dopo una lunga assenza. Proprio come i rendimenti delle obbligazioni bancarie italiane salivano in alto insieme di pari passo con i titoli di stato italiani, allo stesso modo sono anche precipitati, e quest’anno è stato possibile per le banche immettere obbligazioni sul mercato, anche se va notato che finora si è trattato solo di covered bond o obbligazioni senior.
  
Coloro che dubitano della sostenibilità delle politiche della BCE hanno del tutto ragione quando sostengono che gettare liquidità sulla crisi del debito non fa nulla per risolvere i problemi strutturali al centro dell’Eurozona. Anche se imbellettati, un titolo di stato zombie o un’obbligazione bancaria zombie, rimane comunque uno zombie. I problemi, potenzialmente al capolinea, della grande disparità nella competitività tra i vari stati (ovvero gli attuali squilibri di bilancio) sono ancora tutti da risolvere. Una possibile risposta sarebbe l’unione fiscale completa, in cui i Paesi dell’Europa del Nord dovrebbero farsi carico dei debito dei Paesi del Sud Europa, con questi ultimi che dovrebbero lasciar prendere le decisioni ai Paesi del Nord Europa, circostanza alquanto improbabile. Un’ipotesi alternativa, vedrebbe Germania e Paesi Bassi dover gestire un’inflazione a tassi più alti rispetto al resto d’Europa, e anche questo è improbabile. Come Milton Friedman ha dichiarato in breve nel 1999  “i vari Paesi dell’area Euro non costituiscono un mercato valutario naturale. Non sono un’area valutaria. C’è molto poca mobilità di persone tra I Paesi. Ci sono estesi controlli, regolamenti e regole, e quindi c’è bisogno di un meccanismo di ‘correzione’ di un qualche tipo per correggere crisi asincrone – e il tasso di cambio oscillante tra i vari Paesi gliene dava uno. Ora non hanno meccanismi correttivi”*. 
Ma proprio perché la risposta politica della BCE non si è indirizzata ai problemi sottostanti, non significa che le conseguenze saranno di poco rilievo, anzi, è quasi il contrario. Sappiamo dal 2009 quanto possa essere potente l’impatto sui mercati quando le banche centrali dispiegano in pieno i loro bilanci. Alla luce di questo, il rally degli asset a reddito fisso più rischiosi che abbiamo visto di recente probabilmente deve ancora venire, e nelle ultime settimane ho acquistato per la prima volta anche titoli di stato italiani.
Il rovescio della medaglia è che i livelli di rendimento attuali dei titoli di stato “core” è una preoccupazione, e la duration sembra meno interessante. A maggio dello scorso anno, i rendimenti dei titoli di stato erano dell’1% più alti rispetto ad oggi, e le curve del rendimento molto più inclinate. In quel momento non pagava avere una duration corta. La situazione è un po’ cambiata da allora, presumibilmente per la crisi dell’Eurozona e forse anche per la Cina. Se l’Europa non è più in una spirale verso il basso - infatti gli importanti dati PMI dell’Eurozona rilasciati ieri suggeriscono che ci sia stato un rimbalzo nell’attività economica nel mese di gennaio - allora i titoli di stato sembrano davvero vulnerabili. 
In conclusione, la situazione è temporaneamente migliorata per effetto della liquidità destinata all’acquisto di titoli di stato italiani e spagnoli, soprattutto in asta, che ne ha ridotto il rendimento e dato fiato alle banche per via degli asset abbondantemente falcidiati dalla crisi in atto. Non a caso i maggiori rimbalzi, come sovente avviene, sono stati registrati dal settore finanziario, la situazione della Grecia è sempre irrisolta ed i pericoli sono ancora dietro l’angolo.
A presto Mauri

sabato 21 gennaio 2012


Il governo Monti è nato per salvare l’Italia e con essa la moneta unica europea. L’Italia, “ventre molle” dell’Unione monetaria per la scarsa competitività della propria economia e per l’eccessivo peso del debito pubblico è infatti l’obiettivo numero uno della finanza anglosassone ormai da mesi.
Se crolla l’Italia crolla l’Euro e con esso le velleità franco-tedesche in merito all’introduzione della Tobin Tax, vista come una vera bestia nera sia da Wall Street che dalla City. Quella che si sta giocando a livello dell’economia mondiale è una guerra giocata a colpi di spread sulla pelle dei cittadini europei, e il governo Monti se da un lato ha bisogno dello spread e del pericolo default per far digerire alla inetta classe politica buona parte delle riforme che l’Italia avrebbe dovuto fare da 15 anni (liberalizzazioni, pensioni e mercato del lavoro) per avvicinare la produttività a quella tedesca, dall’altro lato rischia di non reggere la sfida proprio a causa della mancata discesa dello spread (Berlusconi ha già promesso a Bossi il voto a giugno?). Il governo Monti deve ottenere per forza un allentamento, meglio se parziale, della pressione dei mercati in tempi brevi. Questo lo può ottenere solo dalla Bce e solo con il consenso della Germania. Monti lo ha sicuramente spiegato alla Merkel nell’incontro di mercoledì scorso come lo ha spiegato all’establishment tedesco con una intervista a Die Welt.
La soluzione al problema dell’Euro, almeno nel breve periodo, c’è e si chiama prestatore di ultima istanza. Tutte le altre soluzioni sono inutili e dispendiose. Nessun fondo a capacità limitata (per quanto ampia) può salvare l’Euro. Solo un intervento a capacità infinita come quello della Bce può funzionare. I tedeschi si oppongono perché temono che ciò finisca per generare inflazione e perché temono che i Paesi in difficoltà finiscano per utilizzare l’aiuto della Bce in modo improprio evitando di ridurre i propri debiti pubblici. 

Di qui la necessità di trovare un accordo che limiti l’intervento della Bce solo ai Paesi che perseguono politiche economiche e di bilancio virtuose. L’intervento della Bce non sarebbe inflazionistico in quanto non dovrebbe stampare quantità ingenti di moneta basterebbe “dichiarare l’intervento”, i mercati seguirebbero inevitabilmente.
Il problema è che i tedeschi nicchiano allungando e approfondendo la crisi sempre di più con il rischio che alla fine sfugga di mano definitivamente.
Di qui nasce l’esigenza di un piano B: cosa fa l’Italia se la situazione continua a peggiorare e i tedeschi non consentono l’utilizzo della Bce come prestatore di ultima istanza? Prosegue con nuove manovre finanziarie di austerità recessive distruggendo anche così ciò che rimane di buono dell’economia italiana?
Il governo dovrebbe avere un piano B. Un piano B che dovrebbe passare attraverso l’uscita dall’Euro, il default e la nazionalizzazione delle banche.
E’ possibile? Altri Stati sovrani lo hanno fatto in passato e l’Italia ha già un avanzo primario. Non dovrebbe fare gravi tagli di bilancio una volta che non dovesse più pagare capitale e interessi del debito pubblico. Quali sarebbero le conseguenze? Sicuramente la fine dell’Euro e forse dopo poco della Comunità Europea. Avrebbe effetti altamente distruttivi sull‘economia mondiale. Potrebbe iniziare da qui un percorso verso il ritorno alle sovranità nazionali e alla fine del processo di globalizzazione economica? Sicuramente l’Italia avrebbe molte ricadute negative ma il danno per la Germania potrebbe essere comparativamente superiore. Si ritroverebbe con la propria economia fortemente orientata alle esportazioni condizionata da un Marco sopravvalutato ed in un ambiente politico internazionale protezionista. L’Italia un gigantesco kamikaze economico? Monti dovrebbe pensarci ed utilizzare tutto il potenziale di ricatto che questo comporta proprio per salvare l‘Euro e l‘Europa. Prima che questo potere cada nelle mani di qualche sciagurato.
Un abbraccio a presto Mauri

giovedì 19 gennaio 2012

Continua la strategia di demolizione dell’euro e dell’Ue

Dopo il declassamento dell’Italia, della Francia e di altri 7 paesi dell’Unione europea, l’agenzia di rating americana Standard & Poor’s ha tolto la tripla A anche all’Esfs, il fondo salva stati.
Finalmente si sono levate voci di denuncia anche da parte di chi non è sospettabile di essere un fautore facinoroso della teoria del complotto.  Il commissario per gli Affari Economici Europei, Olli Rehn, ha qualificato la S&P come un ” soggetto con i suoi interessi economici” che opera in linea con il capitalismo finanziario Usa e di Wall Street. Mario Monti si è sentito obbligato a parlare di un “attacco all’euro” e Mario Draghi per la prima volta ha detto di non dare troppo peso alle valutazioni delle “tre sorelle”.
Come è ormai noto le tre agenzie di rating, in particolare la dominante S&P, sia prima della crisi del 2008 che dopo, sono state responsabili di aver agevolato l’inondazione dei mercati di titoli tossici e di derivati altamente speculativi. Davano a tutti, dietro pagamento, la pagella con la tripla A. 
Il commissario Rehn ha anche detto che “qualcuno ha fatto soldi dalla destabilizzazione” prodotta dall’abbassamento del rating. Sembra infatti che sia partita una speculazione al ribasso contro l’euro.
Ma la vera questione è: perchè un attacco all’euro così concentrato e forte? 
Non basta il solito richiamo alla legge del mercato dove il “business è sempre business” e dove si fanno soldi su  qualsiasi cosa si muova senza rispetto per nessuno. Quindi neanche per l’euro e per i debiti sovrani europei che continueranno ad essere sottoposti ad attacchi fintanto che non raggiungeranno una “posizione di equilibrio” accettata dai mercati.  
Non basta nemmeno parlare di concorrenza tra cugini, in cui gli Stati Uniti ed il dollaro si sarebbero sentiti minacciati dall’emergere dell’Unione europea e di una moneta forte come l’euro che potrebbero sfidarli e rimpiazzarli sui mercati commerciali e finanziari internazionali. 
In verità l’euro, proprio per le intrinseche debolezze sia strutturali che politiche, non ha mai posto un tale problema. Purtroppo l’Ue è ancora un cantiere in costruzione che ha bisogno di tempi lunghi e di stabilità interna ed internazionale per superare tutti gli ostacoli economici, politici e culturali che si frappongono ad una vera governance unitaria
Le lentezze e le debolezze del processo europeo possono giustificare soltanto gli attacchi degli “sciacalli della finanza” che speculano ai margini del sistema, non l’attuale strategia di annientamento dell’euro. 
Secondo me nessuna semplicistica spiegazione è accettabile. Occorre guardare ai grandi processi di globalizzazione, al ruolo dei nuovi potenti attori economici e politici, agli effetti della caduta del muro di Berlino e alla conseguente crisi del sistema unipolare del dollaro per meglio capire i processi in corso.  
E’ emersa una nuova ed inarrestabile domanda di riforme monetarie, economiche e commerciali capaci di dare risposte adeguate ad un mondo politico multi polare. Oltre all’Unione Europea, stanno scrivendo le pagine della storia i Paesi del Brics e altre coalizioni regionali di Paesi emergenti. 
Non solo per un giusto affrancamento politico e per una nuova indipendenza economica, ma questi nuovi soggetti ritengono che sia arrivato il momento di pensare ad un rinnovato sistema monetario ed economico internazionale dove tutti abbiano un peso e una reale capacità di decisione.
E’ di pochi giorni fa la notizia che i governi cinese e giapponese hanno firmato un accordo che prevede che i loro commerci avverranno in yuan e in yen e non più in dollari.
Molti ormai chiedono un paniere di monete che, oltre al dollaro, all’euro e allo yen comprenda anche le valute della Cina, dell’India, della Russia, del Brasile e di altri Paesi, oltre all’oro.
E’ un processo non lineare e nemmeno privo di rischi geopolitici. Il sistema del dollaro, che ha dominato l’intera finanza mondiale, sa di dover perdere privilegi e rendite. Sa che le grandi bolle finanziarie, come quelle dei derivati Otc, non potranno avere spazio in un simile sistema.
Nella costruzione del nuovo paniere di monete l’euro ha un oggettivo peso sia economico che politico. L’Unione europea è la prima economia industriale del pianeta e come polo tecnologico è centrale. La sua stabilità può svolgere il ruolo di catalizzatore per le altre economie emergenti. Se venissero meno l’Europa e l’euro, il lavoro per il nuovo sistema monetario verrebbe bloccato. La Cina e gli altri paesi del Brics sono in forte crescita ma, secondo noi, non hanno ancora da soli la capacità di determinare simili cambiamenti sistemici.
Inoltre l’Ue e l’euro potrebbero essere attori centrali nella costruzione del contenente euroasiatico che sarà attraversato e unito da moderne “vie della seta”. Si tratta di nuovi scenari di sviluppo non solo dell’economia ma soprattutto per la pace mondiale. I sostenitori di una geopolitica di vecchio stampo britannico li hanno sempre osteggiati perché vedono l’Eurasia in contrapposizione all’America e ritengono che l’eventuale sgretolamento dell’euro servirebbe a fermare tali processi.
Ritengo che l’Europa debba rendersi consapevole di queste evoluzioni e affrontare i suoi problemi anche nell’ottica delle grandi sfide globali. Così facendo può trovare nei paesi del Brics alleati strategici e non cercare in loro soltanto dei possibili compratori di titoli di debito pubblico.
Bisogna convincersi che il “tavolo da gioco” è oggettivamente più grande di quello angloamericano! E quindi, credo che sia ormai giunto il momento di cominciare a limitare lo strapotere economico/finanziario che fino ad oggi è sempre e solo stato nelle mani di pochi, che in modo o nell’altro, con errori macroscopici o con strategie da thriller, hanno generato e governato il business mondiale pre/dopo globalizzazione.
Un abbraccio a presto Mauri

Euro più che un errore, una vera follia"
Certo che lo sanno. E' un classico della teoria dei giochi, tipo il dilemma del prigioniero.
Tutti sanno che la cooperazione sarebbe la soluzione più vantaggiosa per tutti, ma tutti temono che gli altri non rispettino gli impegni per trarre un maggiore vantaggio per se a danno degli altri.
Tutti sanno che la soluzione BCE risolverebbe il problema nell'immediato, come tutti sapevano che coinvolgere i privati nella ristrutturazione del debito greco avrebbe comportato costi maggiori rispetto a un suo salvataggio.
Pero', c'è un pero'.
Nel medio termine i processi di aggiustamento, ristrutturazione delle economie dei paesi periferici, nonché di riduzione del deficit e del debito, sono ineludibili.
E qui sta il problema.
I paesi della tripla A temono, probabilmente a ragione, che i paesi periferici facciano la politica del “passata la festa gabbato lu santu”.
E, quindi, di ritrovarsi di qui a qualche anno con un problema ancora maggiore.
In questo momento non esiste nessuno strumento per costringere uno stato sovrano a procedere ai necessari aggiustamenti delle proprie economie.
Quindi chi garantisce i tedeschi che una volta salvata l'Italia, con l'intervento della BCE, questa non ricominci ad accumulare deficit e debito?
Ecco allora il tentativo di riscrivere i Trattati per introdurre meccanismi coercitivi, nonché il coinvolgimento dei privati nella ristrutturazione del debito greco, entrambe cose fortemente volute dai tedeschi.
Al fine di chiarire a tutti che la Germania non e' disposta a pagare per le politiche fiscali scellerate degli altri.
In pratica non si interviene perché nessuno si fida degli altri.
Il che dimostra che l'euro e' stato più che un errore, una follia.
A presto Mauri

lunedì 16 gennaio 2012

COMMENTO SUL DOWNGRADING DI S&P   
S&P ha abbassato il rating di alcuni paesi dell'Euro zona di uno o due gradini. Per esempio, Italia Portogallo e Spagna sono stati downgradati di due gradini, la Francia e l'Austria di uno. S&P ha lasciato invariato il rating per la Germania, l'Olanda e la Finlandia.MERCATI
Specialmente il downgrade di Francia e Austria comporterà probabilmente anche un minore rating dell'EFSF (European Financial Stability Facility). Se la crisi dell'Euro si dovesse ulteriormente deteriorare questo renderà la risoluzione molto più difficile, in quanto avremo minore potere e i costi del rifinanziamento aumenteranno. Ad ogni modo, un downgrading dell'EFSF comporterà molto probabilmente delle contromisure da parte delle autorità UE. Inoltre, alla fine di giugno l'ESFS verrà sostituito dall'European Stability Mechanism, che al contrario dell'EFSF è sostenuto da capitale di rischio (equity) anziché da sole garanzie.
I mercati obbligazionari avevano già messo in conto questi downgrades, in quanto S&P già in dicembre aveva annunciato la revisione del rating dei Paesi dell'Eurozona. E infatti in larga parte sono stati già prezzati.
Le decisioni dell'Euro Summit di Dicembre- specialmente la richiesta di  mantenere strutturalmente il pareggio di bilancio nella legislazione nazionale e sanzioni quasi automatiche in caso di violazione del Patto di Stabilità e Crescita - sono le basi per la creazione di una nuova unione stabile. Se i nuovi assetti istituzionali decisi nel summit di Dicembre verranno implementati in modo tempestivo, avremo le condizioni necessarie affinchè la crisi del debito europeo possa risolversi, In questo caso, i rendimenti dei bonds governativi nella periferia Europea potrebbero inziare un trend al ribasso

La chiusura della seconda settimana dell'anno è stata in linea con l'andamento della prima: merati in leggero rialzo, con performance intorno al punto percentuale per America ed Europa e forte salita degli Emergenti (+2.8%).terreno i difensivi, negativi da inizio anno.
Come spesso accade, i rimbalzi di inizio anno vengono trainati dai settori più colpiti l'anno precedente: su questa riga, continua la corsa dei settori ciclici, con Materials e Financials a fare da traino, mentre perdono
Continua nel frattempo l'indebolimento dell'Euro: USD a 1.27 e Yen a 97.6.
Forte rimbalzo del BTP (+3.8% nella settimana) grazie ai dati positivi sulle aste.
Il BUND, tuttavia, sembra non volersi arrestare: rotti i 140, ha fatto segnare i nuovi massimi storici a 140.23.
Vediamo questa settimana che succede, se il buon giorno si vede dal mattino......speriamo bene o meglio speriamo nel buon senso e nella ricerca di stabilità, visto che da un po' il gioco lo conducono solo gli speculatori provocando i danni che sono sotto gli occhi di tutti.
Un abbraccio a presto Mauri

giovedì 12 gennaio 2012

Euro Sempre Più Vicino al Baratro. Ritorno alla Lira?
Paesi in fuga e banche pronte a fronteggiare eventuali emergenze e preparano cambio in escudo, lira e dracma, Paesi dell'Est mom lo vogliono
IL GRANDE ESODO dall'euro è già iniziato. L’euro, nato con l’intento di tener testa al dollaro anch’esso in declino ma supportato da un sistema di tutele e cuscinetti più efficace, è diventato ormai una trappola. I problemi sono nati tutti dalle difficoltà dell'Eurozona e della sua politica, immobilizzata dal menefreghismo interessato di Berlino ogni volta che c’è da prendere decisioni importanti. 
IL RISULTATO È che lo spread dei titoli di Stato dei paesi in crisi continua a crescere in maniera spropositata e gli stessi paesi,  Italia in testa, sono costretti a sottomettersi a sacrifici difficili da sostenere e, probabilmente, inutili.  E oggi, anche gli stati che, da sempre hanno sognato di entrare nel mondo della moneta unica, si sono resi conto che la politica europea è una trappola. 
IN PRIMIS LA POLONIA, dove secondo recenti sondaggi, quasi i tre quarti della popolazione è fortemente contraria all’ abbandono dello zloty, la moneta di Stato. 
LA REPUBBLICA CECA, dove la maggior parte dei cittadini non vuole abbandonare la corona. La Bulgaria, che avrebbe tutte le carte in regola per entrare nell'euro già dal prossimo anno, ma il cui governo ha dichiarato di non voler entrare a far parte della zona euro. 
PERFINO GLI STATI DELL'EST, che dopo più di 20 anni dalla caduta dell'Urss iniziano ad avere economie floride e dinamiche, oggi snobbano i cosiddetti 'grandi', da cui preferiscono prendere le distanze. Bisogna tener conto che lo scetticismo dei paesi dell'est che l'euro lo hanno già adottato, senza trarne alcun beneficio, come  Estonia, Slovacchia e Slovenia guardano con rammarico, alla forte crescita della Polonia, che senza euro stanno più che bene.
MA LE INCERTEZZE sulla tenuta dell’euro non sono soltanto dei paesi che si defilano ancor prima di entrarvi, ma anche, e soprattutto,le preoccupazioni attanagliano il mondo delle banche che si stanno preparando al collasso del sistema e al ritorno alle vecchie divise. 
LO SEGNALA IL WALL STREET Journal, che parla di almeno due istituti che stanno riattivando il sistema di cambio basato sulla dracma, l'escudo e la nostra vecchia lira, le tre vecchie monete dei tre Paesi più a rischio, rispettivamente Grecia, Portogallo e Italia. 
LE BANCHE hanno contattato Swift, il consorzio con sede in Belgio che gestisce transazioni finanziarie internazionali, per sapere se i codici delle vecchie divise siano ancora attivi o almeno utilizzabili in caso di emergenza. 
SE LA RISPOSTA DOVESSE essere positiva, potrebbero iniziare fin da subito a lavorare ad un sistema di cambio alternativo a quello dell'euro in grado di entrare a regime con intraprendenza nel caso in cui i Paesi in questione ne dovessero uscire. 
E non va dimenticato che la stessa Germania sta facendo stampare marchi in Svizzera
A presto
Mauri

La finanza spaventa più dell’anno dei Maya

Shock dei mercati, debito pubblico, disparità nella distribuzione del reddito fanno molta più paura delle catastrofi naturali.
Il rischio è straripato dai mercati finanziari all’economia e alla società. Il mondo è più vulnerabile a shock economici e disordini sociali, che possono minare il progresso generato dai processi di globalizzazione. Per la prima volta, da generazioni, molte persone non pensano più che i loro figli avranno standard di vita migliori dei loro genitori
La finanza fa più paura delle catastrofi naturaliNon sono più le grandi catastrofi naturali a preoccupare, secondo l’indagine condotta tra 469 esperti (manager, politici, professori universitari ed esponenti della società civile), bensì le questioni socioeconomiche, che derivano dai cronici squilibri fiscali e dalle disparità nella distribuzione dei redditi. Un tempo, la fonte principale dei disordini sociali erano cibo ed acqua, oggi il mondo è molto più vulnerabile agli shock finanziari che i governi non sono stati capaci di arginare (la crisi europea ne è l’esempio più recente). I movimenti di “indignati”, che hanno manifestato nei mesi scorsi in molte città nel mondo e davanti a Wall Street e Piazza Affari, portestano proprio contro le inefficienze del sistema finanziario, lo strapotere delle banche e la speculazione.
Il rischio in casaCambia la geografia dei rischi dalle aree emergenti ai paesi industrializzati, quelli che storicamente sono stati la culla dei cambiamenti economici, sociali e tecnologici. Quelli in cui c’è sempre stata molta fiducia nel progresso ed ora ci sono chiari segnali di distopia. Da un lato, i giovani hanno poche prospettive di trovare lavoro, dall’altro chi va in pensione paga il prezzo di sistemi previdenziali pubblici che non sono più sostenibili. Il risultato è un senso di insicurezza e precarietà.
Il lato oscuro della tecnologiaAnche la tecnologia presenta oggi i suoi lati oscuri. Ha pervaso ogni aspetto della nostra vita privata e professionale, siamo interconnessi e una grande quantità di nostri dati viaggiano online. Senza dubbio, sono molti i vantaggi (si pensi al ruolo di Internet nella Primavera araba), ma anche i rischi, dagli attacchi degli hacker, alla violazione della privacy, agli abusi nell’uso dei social network. Inoltre, il terremoto in Giappone l’anno scorso ha mostrato i limiti della tecnologia di fronte alla forza della natura, con la catastrofe della centrale nucleare di Fukushima.
Analfabetismo finanziarioIl rapporto individua 50 rischi globali, raggruppati nelle categorie “economia”, “ambiente, “geopolitica” e “società”, oltre ai cosiddetti “X factor”, fattori emergenti che meritano ulteriori approfondimenti. Tra questi figura l’analfabetismo finanziario a diversi livelli: l’incapacità dei governi di regolare e monitorare in modo efficace il sistema finanziario; degli stati e delle aziende di gestire i propri bilanci; e dei singoli individui di garantirsi un adeguato livello di benessere una volta terminata l’attività lavorativa.
In cima all’agenda ci sono le sempre maggiori disparità nella distribuzione dei redditi e gli squilibri fiscali. Ma anche i rischi del cyberspazio. In passato c’erano le catastrofi naturali, contro le quali spesso l’uomo è impotente, oggi ci sono problemi socio-economici, che possono e devono essere risolti, c’è bisogno di idee nuove c’è bisogno di giovani preparati ed ambiziosi, dove per ambizione non s’intende la voglia e la necessità di affermarsi a tutti i costi, e con qualsiasi mezzo, ma la capacità di fare con umiltà e qualità che inevitabilmente porta al successo e l’affermazione, c’è bisogno di persone che sappiano ascoltare, e che quest’ascolto si traduca nella capacità di risolvere situazioni oramai troppo radicate dove l’azione porta inevitabilmente a dei sacrifici, ed inevitabilmente a classi sociali  o categorie che manifestano il loro disappunto. Ma se questo serve per migliorare le cose ….ben venga
A presto
Mauri

mercoledì 11 gennaio 2012


  • S.O.S. ...QUALE SARA' LA PREVISIONE GIUSTA?
  • Probabilità dal 55% al 60% per uno scenario di ristagno
La News

Le due parole che fanno rima con l’economia globale del 2012 sono “grande stagnazione”. E’ questa la previsione di Russ Koesterich, responsabile della strategia di investimento di iShares (piattaforma ETF di BlackRock). Crescita lenta e positiva ma crisi economica evitata, eppure il monito, prosegue Koesterich, non si placa: le probabilità di una nuova recessione (figlia di colpe tanto europee quanto americane) sono aumentate negli ultimi mesi e l'Europa potrebbe incorrere almeno una lieve recessione.

Nel suo report di mercato "iShares Market Perspectives 2012 Outlook", Koesterich assegna una probabilità dal 55% al 60% per uno scenario acquitrinoso. "La buona notizia – ha detto il responsabile – è che in assenza di una crisi europea, la maggior parte dell'economia mondiale sta migliorando. Le misure più recenti indicano che la crescita negli Stati Uniti, negli altri paesi sviluppati e nei mercati emergenti si stia stabilizzando, sebbene al di sotto del livello di trend".

Quali sono, allora, gli ipotetici scenari per il 2012? Koesterich, al di là della “grande stagnazione”, individua una recessione double dip (con probabilità tra il 35% e il 40% e fallimento delle manovre politiche europee) e crescita accelerata (con i mercati emergenti che riprendono una crescita stellare e i Paesi sviluppati su livelli medi di lungo termine).

Di seguito una sintesi sui tre possibili scenari e sulle potenziali strategie di investimento ipotizzate da Koesterich per il 2012:
1. L’economia in “grande stagnazione”
Probabilità: dal 55% al 60%
Scenario: la crescita rimane anemica, ma la crisi è evitata
Strategia potenziale: sovrappeso azioni large cap ad alto dividendo, mercati CASSH, titoli azionari dei mercati emergenti e obbligazioni societarie.

2. Crisi e recessione double dip
Probabilità: dal 35% al 40%
Scenario: Il fallimento delle manovre politiche europee conduce ad una crisi bancaria e ad una grave recessione. L’austerità fiscale negli Stati Uniti rallenta la crescita.
Strategia potenziale: sovrappeso in titoli obbligazionari governativi USA, oro e mega-cap globali.

3. Crescita accelerata
Probabilità: 5%
Scenario: I mercati emergenti riprendono una crescita stellare e i Paesi sviluppati ritornano sui livelli medi di lungo termine
Strategia potenziale: sovrappeso in azioni europee, mercati emergenti e titoli ciclici. Riduzione esposizione titoli governativi USA.

Solo per un attimo mi piacerebbe avere una sfera di cristallo(che funzioni) per rispondere a queste ed altre domande.
A presto Mauri

lunedì 9 gennaio 2012

Le “vittime” di Equitalia e i suicidi da “insolvenza”

Prendo in prestito quest'articolo da Antonio Mazzone, ma mi sembra molto attinente a quello che ultimamente sta venendo a galla.

La violenza va sempre condannata senza “se” e senza “ma”  per le intimidazioni ed attentati alle sedi e dipendenti di Equitalia. Ora, cerchiamo di “illuminare” con un faro di verità storica, economica e finanziaria, le ragioni di un  disagio crescente tra i contribuenti italiani.
La realtà quotidiana nostrana dal 2007 ad oggi ci descrive una escalation drammatica dei cosiddetti “suicidi da insolvenza”, anche se l'Italia è l'unico paese del G8 a non aver ancora attivato un servizio di monitoraggio continuo per lo studio di questa vera malattia sociale.
I dati più aggiornati risalgono al 2009 dove si sono registrati 2.986 casi di suicidio contro i 2.828 del 2008, con un aumento del 5,6% e di questi 198 sono collegati a ragioni economiche con un incremento del 32 % rispetto ai 150 casi del 2008 ed addirittura un + 68% rispetto ai 118 suicidi del 2007. Addirittura si sono registrati, sempre nel 2009, 357 suicidi (quasi uno al giorno) tra i disoccupati (fonte Eures).
Dal sito www.zic.it apprendiamo inoltre che “ ... in Gran Bretagna tra il 1920 e il 1930, la disoccupazione produsse un aumento dei suicidi tra gli uomini. Un’analisi della crisi economica asiatica del 1997/98 ha indicato in circa diecimila i suicidi tra Hong Kong, Giappone, e Korea.
 Nel 2001, dopo la crisi che mise in ginocchio l’Argentina, la vendita di farmaci antidepressivi aumentò notevolmente. A Hong Kong. il 24% di tutti i suicidi avvenuti nel 2002 riguardava le persone con indebitamento. Secondo una ricerca pubblicata su Psychiatry, negli Stati Uniti, dopo il settembre del 2008, quando si è verificata la bancarotta della banca Lehman Brothers (evento simbolo del crollo finanziario) è avvenuta una lievitazione delle prescrizioni di sonniferi, ansiolitici e antidepressivi.
La World Psychiatric Association ha svolto uno studio in Corea del Sud nell’arco temporale che va dal 1998 al 2007, né uscito un incremento della frequenza della depressione e dei tentativi di suicidio durante il periodo di crisi finanziaria. Il tasso dei tentativi di suicidio è aumentato da 13,6 per 100 mila abitanti nel 1997 a 18,8 nel 1998, anno di inizio della crisi.
Il 21 settembre 2011, sul Wall Street Journal, Markus Walker ha scritto un reportage sull’aumento dei suicidi in Grecia: “I suicidi sono all’incirca raddoppiati rispetto a prima della crisi, raggiungendo il livello di 6 ogni 100 mila persone all’anno”. I dati provengono dal Ministero della Salute greco. Negli ultimi cinque mesi si sono uccisi il 40% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. La Grecia è tra i paesi europei più colpiti e le statistiche non sono nemmeno precise, perché la maggior parte dei suoi cittadini sono ortodossi e la loro Chiesa vieta i funerali per chi si è tolto la vita.

Le “vittime” di Equitalia sono persone che, abitualmente, fanno la dichiarazione dei redditi e pagano le tasse. A causa della crisi economica o di scelte imprenditoriali sbagliate si sono trovate, però, impossibilitate a onorare i debiti fiscali o previdenziali verso lo Stato. Vanno aggiunte, poi, le centinaia di persone che si vedono arrivare cartelle esattoriali per bollette o multe, molte volte già pagate o inesistenti.
Il sistema adottato da Equitalia per i debiti relativi agli anni successivi al 2007, a causa di un meccanismo sanzionatorio e di riscossione perverso che porta le somme dovute a crescere anche del doppio e del triplo nel giro di pochi anni, produce sempre più frequentemente dei risvolti drammatici. In un quadro di crisi come l’attuale, per tante persone, molto spesso impossibilitate a far fronte alle spese “ordinarie”, le richieste di pagamento di Equitalia costituiscono la definitiva rovina. In tanti cadono nel tunnel della depressione e il suicidio diventa la via di fuga, il brusco allontanamento da angosce inaccettabili.
Per comprendere meglio il meccanismo affidiamoci alla eloquente ricostruzione fatta dai colleghi di  “nocensura.com” :

Con le nuove normative, a partire da ottobre 2011, Equitalia potrà prelevare i soldi direttamente dai conti correnti, e pignorare le case in SOLI 2 MESI dalla partenza delle procedure: la cosa che fa ancora più schifo,  le case  vengono SVENDUTE all'asta, a qualche ricco speculatore (magari un evasore fiscale che ricicla i soldi sporchi, anche tramite prestanome) che la acquista a prezzo stracciato, per rivenderla con calma, al doppio: anche se impiega 2,3 anni per venderla, è sempre un ottimo investimento...

 Facciamo un esempio:

 La tua casa vale 200.000 Euro:
 con gli interessi di un mutuo ventennale, ne hai restituiti 350.000:

 Se la casa non viene venduta alla prima asta, viene ripetuta, e il prezzo di partenza di abbassa di volta in volta: pertanto diventa una prassi, che alla prima non venga mai venduta:

 Alla prima asta, il prezzo di partenza è di 130.000: niente!
 L'asta si ripete: partendo da 100.000..... niente!
 alla terza asta, si parte da 70.000 ... e viene venduta.

 Poniamo che il tuo debito nei confronti di equitalia sia stato di 30.000 Euro: (magari l'importo dovuto è di 10.000 ma tra interessi e penali, in qualche anno è arrivato a 30.000) per recuperarli, svendono la tua casa a 70.000, dopodiché ti trattengono i 30.000 che devono, ti addebitano le spese (dell'asta e delle pratiche) per un importo di ulteriori 5.000 e ti restituiscono........... 35.000 euro!

 per sanare un debito iniziale di 10.000 Euro, ti hanno privato della tua casa che hai pagato 350.000 euro, restituendoti 35.000 Euro: in pratica, quel debito ti è costato la bellezza di 305.000 Euro, ovvero i 10.000 del debito iniziale sommati ai 35.000 che ti hanno restituito dopo la vendita all'incanto.

 Aggiungiamo, grazie alle segnalazioni dei colleghi di “INFORMARE X RESISTERE”, www.informarexresistere.fr e di Alessandro R. di nocensura.com che:

1)    nei mesi scorsi una società che comprava (a prezzi stracciati) le case svendute all’asta, era di proprietà di una manager di Equitalia. Un conflitto di interessi gravissimo, nonostante ciò la notizia non ha trovato spazio sulla maggior parte dei giornali: per non parlare della TV, dove non ha trovato la minima menzione;
2)    Equitalia a Torino ha acquistato un vero e proprio palazzo di lusso, vincolato dal ministero dei “Beni Culturali”  per la “modica cifra” di 31.000.000 di Euro, di cui 29 milioni 920 mila per l’acquisto dello stabile e un altro milione per aggiudicarsi 45 box auto destinati ai dirigenti, a cui forniscono un garage privato per ciascuno;
3)    il Presidente di Equitalia Spa, dott. Attilio Befera, percepisce un emolumento lordo annuo di 457.000,00 euro (per un semplice raffronto il Presidente della FED, Bernanke, ha uno stipendio di circa 150.000,00 euro annui, possiede una sola villetta dove risiede acquistata con un mutuo a tassi di mercato);

Sul sito di Equitalia (www.gruppoequitalia.it) leggiamo che: “ Il suo fine è quello di contribuire a realizzare una maggiore equità fiscale, dando impulso all'efficacia della riscossione attraverso la riduzione dei costi a carico dello Stato e la semplificazione del rapporto con il contribuente. “ Sarà anche vero, ma la sensazione sempre più diffusa è che essa usi il “bazooka” verso le categorie più deboli (artigiani, autonomi e microimprese) e la mano leggera verso contribuenti “VIP” e grandi imprese e banche.

La storia, del resto, non gioca a favore del contribuente onesto, che negli ultimi 40 anni ha assistito a vari governi, di varie estrazioni politiche, ma accomunati da un unica certezza: l'emanazione di un qualche “condono”  (in media 1 ogni 5 anni):

1973 - Governo Rumor IV - Ministro delle finanze Emilio Colombo (condono fiscale)
1982 - Governo Spadolini I - Ministro delle finanze Salvatore Rino Formica (condono fiscale)
1985 - Governo Craxi I - Ministro delle finanze Bruno Visentini (condono edilizio)
1991 - Governo Andreotti VI - Ministro delle finanze Salvatore Rino Formica (condono fiscale)
1995 - Governo Dini - Ministro delle finanze Augusto Fantozzi (condono edilizio e concordato fiscale)
2003 - Governo Berlusconi II - Ministro delle finanze Giulio Tremonti (condono edilizio e fiscale)
2009 - Governo Berlusconi IV - Ministro delle finanze Giulio Tremonti (condono fiscale)
2011 - Governo Berlusconi IV - Ministro delle finanze Giulio Tremonti (definizione liti pendenti) - (*)
(*). anche se in questo caso parlare di tecnicamente di "condono" e' improprio, chi ha un contenzioso tributario con il Fisco italiano per importi non superiori a euro 20.000, può chiudere la lite con uno sconto del 50%.
Del resto, il più grande condono fiscale della storia europea avvenne a Roma nell'anno 118 d.c.  L'Imperatore Adriano, da pochi mesi al potere come nuovo Cesare, decise di conquistare il più rapidamente possibile la simpatia ed il consenso di tutti i cittadini dell'Impero e cancellò tutti i loro debiti erariali degli ultimi sedici anni.
L'ammontare del denaro a cui Roma rinunciò, lasciandolo ai contribuenti, fu di oltre 900.000.000 di sesterzi, che quasi rappresentava le entrate fiscali che, complessivamente, l'Impero Romano raccoglieva annualmente.(fonte: Wikipedia).
Terminiamo in “bellezza”, con un elenco degli “sconti”  accordati a personaggi e/o società illustri, in seguito ad accertamenti fiscali:

Contribuente                           Tasse Non Pagate Contestate                        Importo Pagato                 Sconto concesso
Società Bosch Ag                        1.400 mln di euro                                      300 mln di euro                  1.100 mln di euro
Fisichella                                          17,2 mln di euro                                     3,8 mln di euro                   13,4 mln di euro
Tomba                                               23 mld di lire                                         7,5 mld di lire                     15,5 mld di lire
Pavarotti                                           40 mld di lire                                          25 mld di lire                      15 mld di lire
Aleotti (Menarini Farmac.)            500 mln di euro                                        330 mln di euro                   170 mln di euro
Valentino Rossi                              220 mln di euro                                          35 mln di euro                   185 mln di euro
Vasco Rossi                                        ?                                                              5,5 mln di euro    

Un abbraccio
Mauri
                    
SITUAZIONE ECONOMICO/FINANZIARIA – GENNAIO 2012
Buongiorno a tutti, augurandovi un Buon 2012, invio il mio primo commento ai mercati .
Limito il mio intervento ad un esame approfondito della situazione Europea, visto che ci riguarda maggiormente, ma un esame generale della situazione dei paesi a maggiore capitalizzazione, sarebbe stato indubbiamente interessante ma probabilmente lungo nell’esposizione, ragione per la quale limiterò solo nell’ introduzione alcuni interrogativi, l’analisi completa fa parte di questo primo intervento e riguarda Stati Uniti, Cina, Regno Unito e Paese Emergenti, Giappone, ed è a disposizione per chi volesse prenderne visione. Basta chiedere.
INTRODUZIONE
Il destino dell’economia mondiale e le prospettive dei mercati  finanziari nel 2012 e nel 2013 dipendono essenzialmente dalle risposte a tre grandi quesiti: la crisi dell’Eurozona verrà risolta in modo efficace e tempestivo?
 L’economia degli Stati Uniti saprà riconfermare il miglioramento della performance evidenziato ultimamente?
 E quella cinese eviterà un atterraggio duro nel 2012?
Le risposte a queste domande non sono tutte positive. L’esito della crisi debitoria nell’Eurozona è tuttora molto incerto. Negli Stati Uniti, il miglioramento della performance economica è stato circoscritto, limitato cioè solo ad alcuni settori. E anche se questi progressi dovrebbero in parte continuare, è probabile che l’economia in generale vada incontro ad un rallentamento nel 2012 causato da molti dei problemi che l’hanno penalizzata nel 2011.
 Infine, per quanto riguarda la Cina, la sua economia è tuttora eccessivamente dipendente dalla domanda estera e pertanto molto vulnerabile all'aggravarsi della crisi in Europa. Quindi, anche se l’adozione di misure per l’incentivazione fiscale e monetaria del mercato interno sembra ormai quasi certa nel 2012, il tasso di crescita complessivo della Cina dovrebbe essere inferiore a quello registrato nel 2010 o all'inizio del 2011.
LA CRISI DEL DEBITO NELL’EUROZONA
La crisi del debito sovrano nell'Eurozona ha tenuto banco sui mercati per ben diciotto mesi. La situazione si è decisamente aggravata a partire dal mese di marzo 2011, quando è apparso evidente il fallimento del primo piano di salvataggio della Grecia (varato nel maggio 2010). Da quel momento si sono susseguiti vari incontri fra i leader dell’Eurozona, culminati nella dichiarazione rilasciata a chiusura del quinto summit dedicato alla crisi il 9 dicembre scorso e con la quale i capi di governo si  sono impegnati a rafforzare l'UEM (Unione Economica e Monetaria) in due modi.
Innanzitutto, i leader europei hanno pattuito di introdurre una disciplina fiscale più severa rispetto al passato nei propri paesi. In particolare, hanno concordato di approvare modifiche costituzionali che vincolino il deficit di bilancio strutturale ad un tetto massimo dello 0,5% del PIL, invece del 3% previsto attualmente per il deficit generale nel Patto di stabilità, ormai considerato inefficace. Questo nuovo piano di consolidamento fiscale, il cosiddetto “Fiscal Compact”, dovrebbe essere attuato secondo tempistiche stabilite per ogni Stato membro su proposta della Commissione Europea, rafforzato da un grado maggiore di automatismo rispetto al passato e sottoposto alla vigilanza della Corte di Giustizia europea. In secondo luogo, i leader hanno approvato il rafforzamento degli “strumenti di stabilizzazione”, vale a dire i fondi di salvataggio. Questa decisione si traduce nel potenziamento del fondo di stabilità finanziaria (FESF) che avverrà “in tempi rapidi”, come è stato detto; inoltre, l’attivazione del fondo di salvataggio permanente, battezzato Meccanismo europeo di stabilità (MES), viene anticipata al mese di luglio 2012, ma la capacità di finanziamento congiunta dei due istituti sarà limitata a EUR 500
miliardi. Infine, gli Stati membri dovranno mettere a disposizione dell’FMI un importo pari a EUR 200 miliardi da utilizzare per prestiti bilaterali.
Per quanto le intenzioni siano lodevoli, è tuttavia probabile che i mercati finanziari richiederanno l’applicazione di misure ben più tangibili e con tempistiche più strette. Il problema è che queste iniziative possono contribuire ad evitare la prossima crisi, ma non sono in grado di risolvere quella che si è già determinata. Ad esempio, nonostante la stretta creditizia che investe il sistema bancario, né la BCE né altri organismi hanno promesso iniezioni di liquidità immediate in qualsiasi forma. Anche se le iniziative più recenti della BCE sul fronte della liquidità (riduzione dei coefficienti di riserva obbligatoria, erogazione di rifinanziamenti per tre anni ed estensione delle garanzie idonee) miglioreranno la situazione e dovrebbero favorire la stabilità del credito bancario nel 2012 e nel 2013, non è affatto chiaro se queste misure si dimostreranno sufficienti. Banche ed emittenti sovrani nell’Area Euro sono stretti in un rapporto reciprocamente distruttivo: se gli Stati falliscono le banche potrebbero subire corse agli sportelli, veder aumentare i costi di finanziamento ed esigere iniezioni di capitale. Ma, d'altra parte, se i mercati privati rifiutano di ricapitalizzare le banche in difficoltà, restano solo gli Stati che però non hanno capacità di raccolta di capitali. Eppure, come ha dichiarato l'Autorità bancaria europea il 7 dicembre, gli istituti dell’Area Euro hanno disperatamente bisogno di nuovi capitali per EUR 115 miliardi. Nel piano europeo non si riscontra una visione complessiva né chiarezza in merito alla destinazione finale e non vi è traccia di un percorso prestabilito per raggiungerla. Il pacchetto proposto contiene di fatto un unico strumento: maggiore austerità. Le misure di stimolo alla crescita si fanno notare solo per la loro assenza. Infine, non è stato fatto il minimo tentativo di risolvere il problema di fondo, vale a dire la perdita di competitività degli Stati europei meridionali, che risulta evidente dagli squilibri dei conti con l’estero: surplus al nord e deficit al sud. I partecipanti al summit hanno adottato la posizione essenzialmente tedesca secondo cui la crisi attuale deve essere risolta con uno sforzo interno ai paesi debitori (leggasi: anni di deflazione) invece di consentire uno squilibrio dei conti generale che richiederebbe sacrifici anche da parte dei creditori .
Persino se prese alla lettera, le proposte del summit mancano di credibilità sui mercati. Per quanto riguarda la disciplina fiscale, il precedente Patto di stabilità è stato continuamente disatteso, in primis da Germania e Francia nel 2003-04 quando entrambi i paesi hanno rifiutato di pagare le multe incorse. È quasi certo che stavolta verranno trovati degli escamotage per sforare rispetto al limite dello 0,5% sul deficit di bilancio strutturale ed evitare le sanzioni teoricamente automatiche. In definitiva, questa forma di unione fiscale si dimostrerà troppo debole, con conseguenze ancora da individuare.
Buona giornata a presto
Mauri

sabato 7 gennaio 2012

Continua la forza del dollaro



Sicuramente uno degli elementi piu' importanti di questo inizio 2012 e' la forza del dollaro contro
l'euro.
La valuta USA si aggira ora intorno a quota 1,28, un livello che non si vedeva da diversi mesi.
Infatti, nonostante tutti i problemi dell'Europa in questi ultimi mesi, l'euro aveva sostanzialmente
tenuto, senza subire eccessive perdite contro il dollaro.
I motivi di questa cosa possono essere diversi, non ultimo la volonta' della FED di non veder
eccessivamente rivalutata la moneta USA.
Tuttavia, nelle ultime settimane il dollaro ha iniziato ad apprezzarsi e la cosa si e' accentuata
in questi primi giorni dell'anno.
Cosa significa questo?
Che il mercato dei cambi inizia a scontare un peggioramento della situazione in Europa?
Questo sarebbe sicuramente uno scenario negativo.
Oppure che l'America presentera' nei prossimi mesi dati economici in miglioramento e quindi
ci si aspetta una nuova fase espansiva dell'economia USA?
Questo secondo scenario sarebbe davvero buono, perche' se la locomotiva americana riprende a
correre, allora ci saranno benefici per tutto il mondo.
Infine, non e' nemmeno da escludere che, alla fine, questa ripresa non abbia proprio particolari ragioni e che sia tutto un semplice, normale e temporaneo movimento di mercato.
Credo che, comunque, non passera' molto tempo prima di capire le ragioni di questo rafforzamento.

Saluti alla prossima
Mauri

giovedì 5 gennaio 2012

GRECIA I SOLITI SOSPETTI
 un articolo in copia ed incolla presa da un portale di economia.


Secondo Pantelis Kapsis, portavoce dell’attuale governo greco, la Grecia sarà costretta ad uscire dall’Euro entro i prossimi 3 o 4 mesi se non si giungerà in fretta all’accordo per un prestito di 130 miliardi di euro.
Solo ad ottobre il Fondo Monetario Internazionale, insieme all’Europa, decidevano di mettere sul piatto 130 miliardi di euro per dare un po’ di ossigeno ad Atene, che non è più in grado di finanziarsi da sola, ma la situazione continua a peggiorare, mentre il nuovo governo non sembra aver portato grandi miglioramenti. Secondo Kapsis, nuovi ed urgenti provvedimenti -tra cui tagli alla spesa pubblica e l’imposizione di nuove tasse - da parte del governo sono necessari se si intende far fronte al continuo calo di entrate che lo stato ellenico sta subendo. La soluzione a questa situazione di emergenza non è semplice, come dimostra il recente cambio di governo, ed il provvedimento che, secondo Kapsis, verrà con più probabilità messo in atto è un deciso aumento delle tasse, perché un ulteriore taglio al settore pubblico potrebbe voler dire la fine del settore pubblico stesso.
Il premier Lucas Papademos ha quindi sottolineato che occorrono nuove riforme affinché il paese possa rimanere nell’Euro, per cui ulteriori misure poco popolari sono necessarie per potersi garantire un secondo “salvagente” da 130 miliardi di euro, dopo quello ottenuto ad ottobre. Il messaggio che il governo sta cercando di passare al proprio paese è che servono grossi sacrifici ed una politica fiscale incentrata sull’austerità per provare ad uscire da questa crisi, perché l’alternativa - cioè il ritorno alla dracma - potrebbe essere un inferno per il paese (della stessa opinione è Nickolaos Travlos, professore alla ALBA Graduate Business School di Atene).
L’uscita della Grecia dall’area Euro non dovrebbe portare alla fine della moneta unica (almeno nell’immediato), ma creerebbe comunque un precedente. Il rischio è che questa fine possa capitare anche agli altri “malati” della zona, ovvero Portogallo, Irlanda e forse Spagna. L’Italia, se riuscirà ad uscire indenne dal piazzamento sui mercati di 134 miliardi di euro di debito pubblico, che scadranno nell’immediato (tra febbraio ed aprile), si potrà, forse, considerare fuori pericolo.