mercoledì 21 novembre 2012

               E’ RIGORE QUANDO L’ARBITRO FISCHIA  


 Di troppo rigore si muore, eppure non si può avere crescita economica senza aver riportato ordine nei conti pubblici e fiducia nel debito sovrano.
Come un ombra  lo spettro della reces­sione continua a minacciare l’Europa: la crescita del PIL è negativa anche nel 3^ trimestre e le ombre si allungano sul­la Germania che registra un rallentamento dell’attività eco­nomica e delle esportazioni. A settembre gli ordini dell’indu­stria tedesca sono calati del 3,3%, la produzione è calata del 1,8%, le esportazioni sono calate del 2,4%, dato che non ha sorpreso nel segno (due terzi delle esportazioni della Germa­nia sono verso un’Europa sempre più povera) ma nell’am­piezza (atteso -1,5%).La crescita economica per l’Europa è ancora lontana mentre l’aggressione del debito e le politiche volte alla sua stabiliz­zazione non saranno sostenibili a lungo. “Senza il nostro ri­gore oggi non ci sarebbe l’eurozona” si legge nel documento pubblicato dalla Presidenza del Consiglio “Appunti di viaggio” ad un anno esatto dal giuramento.
“Rigore è quando arbitro fischia” diceva l’indimenticabile Vujadin Boskov.
Nell’Eurozona la partita sembra cristallizzata al rigore fi­schiato dalle autorità politiche. Ma di troppo rigore si può anche morire e se nelle partite al primo tempo di gioco segue la ripresa, al rigore fischiato in Europa, non è ancora seguito il secondo tempo, la “ripresa” appunto”. E’ stato calcolato l’effetto recessivo dell’inaspri­mento fiscale intervenuto in Italia negli ultimi due governi, pari a 4 punti di PIL: “in assenza di variazioni nella politica  fiscale, l’economia italiana si contrarrà di altri due punti-due punti e mezzo. Alla luce di questi conti mi chiedo che cosa possa indurre all’ottimismo sulla crescita”. Sulla stessa lun­ghezza d’onda Mario Draghi che ha esortato a non aumenta­re le tasse.
I deficit fiscali persistenti in molti paesi europei sono arriva­ti ad un punto dove austerità e tagli alla spesa sono divenuti inevitabili e nel contempo intollerabili i loro costi sociali e politici. Una politica di austerità indiscriminata, basata su ta­gli alla spesa e incremento di carichi fiscali può rivelarsi un errore. Sono stati misurati gli effetti economici ma forse si sono sottostimati i costi sociali: le manifestazioni e gli scon­tri con le forze dell’ordine in molte città europee danno voce al doloroso allargamento degli spread sociali, al furto di fu­turo subito dai più giovani.
Sfortunatamente, non si può semplicemente sostituire l’au­sterità con la volontà di far crescere l’economia (ehi, perché nessuno ci ha pensato prima?). La strada della spesa pubbli­ca per interventi anticiclici è inibita: l’Italia negli ultimi decen­ni è stata campione di spesa pubblica ma fanalino di coda nei tassi di crescita. Il rigore dei conti in ordine resta la pre-con­dizione per continuare a finanziarsi a tassi sopportabili ma esso deve essere affiancato da misure che restituiscano spe­ranza, che facciano vedere a tutti, se c’è, “la luce in fondo al tunnel”.  L’unico sentiero per la crescita sostenibile è quello che passa per aggiustamenti e modifiche strutturali delle economie accompagnati da una nuova governance europea, vera sfida dei leader europei. L’Europa è all’ultimo miglio, la cooperazione europea costituisce probabilmente l’unico combustibile alla ripresa: se nei fatti la sovranità nazionale è già violata dalla sorveglianza e dal verdetto dei mercati, allo­ra probabilmente cooperazione e concerto sovranazionale sono le necessarie premesse per la ripartenza.
Le banche centrali, la Fed come la BCE hanno iniziato ad esplorare nuovi territori ed hanno reinventato la politica mo­netaria con strumenti eccezionali come l’allentamento quan­titativo. Si tratta di esperimenti di politica monetaria “in cor­pore vili”, praticati cioè sull’organismo pulsante dell’economia senza precedenti sperimentazioni. Efficace nel contrastare sfide cicliche di breve periodo, la politica monetaria non for­nisce però soluzioni di lungo periodo: essa “compra tempo” alla politica fiscale, l’unica in grado di sciogliere i nodi strut­turali del lavoro, dello sviluppo, della ricerca, della distribu­zione della ricchezza. La responsabilità resta alla politica perché “spetta ai governi lo sforzo maggiore nella riconqui­sta della credibilità” ha ricordato Draghi nell’inizio del suo intervento in Bocconi la settimana scorsa. I governi devono mostrarsi capaci di accettare la rinuncia parziale alla sovra­nità fiscale in cambio della condivisione comunitaria del far­dello dei debiti. “La crisi ha messo in luce la necessità di portare a compimento l’Unione economica e monetaria” ha detto ancora Draghi.
Negli Stati Uniti la vittoria di Obama conferma la prosecuzio­ne di una politica monetaria espansiva e una politica fiscale accomodante con la middle class, quel ceto medio spina dor­sale dei consumi interni. In Cina il cambio di leadership è avvenuto nel segno della continuità, proseguirà il cambia­mento strutturale dell’economia cinese, ovvero un ruolo cre­scente dei consumi interni a scapito delle esportazioni tale da rendere sostenibili tassi di crescita compresi nella for­chetta 6%-8%. Le economie di USA e Cina offrono all’Europa i chiodi in parete ai quali assicurare le proprie speranze di crescita. I leader europei dovranno dimostrarsi capaci di guardare oltre la convenienza politica del breve termine ver­so il più prezioso interesse comune. In una settimana decisi­va (Europa, Grecia, bilancio comunitario), la prevalenza degli interessi nazionali sarà dimostrazione di vista corta e coste­rà ulteriore ritardo a quella integrazione su cui sembrano tutti d’accordo. Si tratta di puntare al medesimo obiettivo perché, come dice il saggio Boskov, “per segnare bisogna ti­rare in porta”.

Un abbraccio a presto Mauri

P.S. un ringraziamento al centro studi S&G per le informazioni

Nessun commento:

Posta un commento