E’ RIGORE QUANDO L’ARBITRO FISCHIA
Di troppo rigore si muore, eppure non si può avere crescita economica senza aver riportato ordine nei conti pubblici e fiducia nel debito sovrano.
Come un ombra lo spettro della recessione continua a minacciare l’Europa: la crescita del PIL è negativa anche nel 3^ trimestre e le ombre si allungano sulla Germania che registra un rallentamento dell’attività economica e delle esportazioni. A settembre gli ordini dell’industria tedesca sono calati del 3,3%, la produzione è calata del 1,8%, le esportazioni sono calate del 2,4%, dato che non ha sorpreso nel segno (due terzi delle esportazioni della Germania sono verso un’Europa sempre più povera) ma nell’ampiezza (atteso -1,5%).La crescita economica per l’Europa è ancora lontana mentre l’aggressione del debito e le politiche volte alla sua stabilizzazione non saranno sostenibili a lungo. “Senza il nostro rigore oggi non ci sarebbe l’eurozona” si legge nel documento pubblicato dalla Presidenza del Consiglio “Appunti di viaggio” ad un anno esatto dal giuramento.
“Rigore è quando arbitro fischia” diceva l’indimenticabile Vujadin Boskov.
Nell’Eurozona la partita sembra cristallizzata al rigore fischiato dalle autorità politiche. Ma di troppo rigore si può anche morire e se nelle partite al primo tempo di gioco segue la ripresa, al rigore fischiato in Europa, non è ancora seguito il secondo tempo, la “ripresa” appunto”. E’ stato calcolato l’effetto recessivo dell’inasprimento fiscale intervenuto in Italia negli ultimi due governi, pari a 4 punti di PIL: “in assenza di variazioni nella politica fiscale, l’economia italiana si contrarrà di altri due punti-due punti e mezzo. Alla luce di questi conti mi chiedo che cosa possa indurre all’ottimismo sulla crescita”. Sulla stessa lunghezza d’onda Mario Draghi che ha esortato a non aumentare le tasse.
I deficit fiscali persistenti in molti paesi europei sono arrivati ad un punto dove austerità e tagli alla spesa sono divenuti inevitabili e nel contempo intollerabili i loro costi sociali e politici. Una politica di austerità indiscriminata, basata su tagli alla spesa e incremento di carichi fiscali può rivelarsi un errore. Sono stati misurati gli effetti economici ma forse si sono sottostimati i costi sociali: le manifestazioni e gli scontri con le forze dell’ordine in molte città europee danno voce al doloroso allargamento degli spread sociali, al furto di futuro subito dai più giovani.
Sfortunatamente, non si può semplicemente sostituire l’austerità con la volontà di far crescere l’economia (ehi, perché nessuno ci ha pensato prima?). La strada della spesa pubblica per interventi anticiclici è inibita: l’Italia negli ultimi decenni è stata campione di spesa pubblica ma fanalino di coda nei tassi di crescita. Il rigore dei conti in ordine resta la pre-condizione per continuare a finanziarsi a tassi sopportabili ma esso deve essere affiancato da misure che restituiscano speranza, che facciano vedere a tutti, se c’è, “la luce in fondo al tunnel”. L’unico sentiero per la crescita sostenibile è quello che passa per aggiustamenti e modifiche strutturali delle economie accompagnati da una nuova governance europea, vera sfida dei leader europei. L’Europa è all’ultimo miglio, la cooperazione europea costituisce probabilmente l’unico combustibile alla ripresa: se nei fatti la sovranità nazionale è già violata dalla sorveglianza e dal verdetto dei mercati, allora probabilmente cooperazione e concerto sovranazionale sono le necessarie premesse per la ripartenza.
Le banche centrali, la Fed come la BCE hanno iniziato ad esplorare nuovi territori ed hanno reinventato la politica monetaria con strumenti eccezionali come l’allentamento quantitativo. Si tratta di esperimenti di politica monetaria “in corpore vili”, praticati cioè sull’organismo pulsante dell’economia senza precedenti sperimentazioni. Efficace nel contrastare sfide cicliche di breve periodo, la politica monetaria non fornisce però soluzioni di lungo periodo: essa “compra tempo” alla politica fiscale, l’unica in grado di sciogliere i nodi strutturali del lavoro, dello sviluppo, della ricerca, della distribuzione della ricchezza. La responsabilità resta alla politica perché “spetta ai governi lo sforzo maggiore nella riconquista della credibilità” ha ricordato Draghi nell’inizio del suo intervento in Bocconi la settimana scorsa. I governi devono mostrarsi capaci di accettare la rinuncia parziale alla sovranità fiscale in cambio della condivisione comunitaria del fardello dei debiti. “La crisi ha messo in luce la necessità di portare a compimento l’Unione economica e monetaria” ha detto ancora Draghi.
Negli Stati Uniti la vittoria di Obama conferma la prosecuzione di una politica monetaria espansiva e una politica fiscale accomodante con la middle class, quel ceto medio spina dorsale dei consumi interni. In Cina il cambio di leadership è avvenuto nel segno della continuità, proseguirà il cambiamento strutturale dell’economia cinese, ovvero un ruolo crescente dei consumi interni a scapito delle esportazioni tale da rendere sostenibili tassi di crescita compresi nella forchetta 6%-8%. Le economie di USA e Cina offrono all’Europa i chiodi in parete ai quali assicurare le proprie speranze di crescita. I leader europei dovranno dimostrarsi capaci di guardare oltre la convenienza politica del breve termine verso il più prezioso interesse comune. In una settimana decisiva (Europa, Grecia, bilancio comunitario), la prevalenza degli interessi nazionali sarà dimostrazione di vista corta e costerà ulteriore ritardo a quella integrazione su cui sembrano tutti d’accordo. Si tratta di puntare al medesimo obiettivo perché, come dice il saggio Boskov, “per segnare bisogna tirare in porta”.
Un abbraccio a presto Mauri
P.S. un ringraziamento al centro studi S&G per le informazioni
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