lunedì 23 aprile 2012

IL FUTURO SARA’ DI CHI RACCOGLIERA’ LA SFIDA

"Compito della finanza è trasferire denaro da investitori a imprenditori che ne necessitano per lo sviluppo della loro attivita'. La finanza rende possibile questo flusso tramite i mercati finanziari e i veicoli di investimento a disposizione di investitori e business. Complessivamente la finanza ha diversi importanti utilizzi che contribuiscono alla crescita economica". Di definizioni come queste, che ho trovato online, ne esistono a decine. Naturalmente sono tutte giuste. Eppure, allo stesso tempo, sono anche irrimediabilmente parziali e ormai spesso superate.

Nel mondo sempre più globalizzato e interconnesso in cui viviamo, nella maggior parte dei casi investitori e imprenditori non vivono più nella stessa città, nemmeno nella stessa regione, spesso neanche nella stessa nazione e sempre più frequentemente si trovano addirittura in continenti diversi. I mercati finanziari diventano allora l'unico interlocutore che si interfaccia da un lato con i risparmiatori-investitori e dall'altro con le imprese. La finanza ha eliminato la relazione tra chi investe denaro e chi lo riceve (in prestito o a titolo di capitale). Ma è anche andata molto oltre: ha creato denaro dal nulla, tramite istituti bancari e Banche centrali e, piu recentemente, con lo sviluppo dell'industria degli hedge fund - che ora nella legislazione europea (e in molte altre) sono assimilati ai tradizionali strumenti long only (ovvero quelli che non vendono titoli che non possiedono). Ha creato denaro dalla perdita di denaro (quando vendo un'azione, una divisa o un titolo che non possiedo e questo perde valore io realizzo un guadagno). Come un’antimateria che si accresce dalla distruzione della materia. In un certo senso è normale. L'essere umano evolve e cerca nuove dimensioni per l'affermazione di se stesso e delle sue capacità nei confronti dei suoi simili.

Ma cosa comporta questo fenomeno se lo guardiamo su scala globale? Il Prodotto interno lordo (Pil) mondiale a fine 2011 era pari a 79 trilioni di dollari (valutati  con il criterio del Purchasing pricing power, secondo dati della World Bank). Il valore totale dei titoli finanziari (comprendente capitalizzazione delle Borse mondiali, obbligazioni e prestiti emessi) era invece pari a 212 trilioni di dollari, evidenziando una crescita del debito globale negli ultimi 10 anni dal 218% al 266% del Pil mondiale (fonte Mc Kinsey). Alla metà dell'anno scorso il valore totale dei titoli derivati (forward, swap e option) circolanti nel mondo ammontava a 707 trilioni di dollari (!), ed era aumentato di 125 trilioni negli ultimi 12 mesi (!!), più di una volta e mezzo il Pil mondiale (!!!) (fonte Banca dei regolamenti internazionali).

Leverage tra pericoli e opportunitàSemplificando, possiamo dire che il mondo è "a leva" di circa dieci volte e la tendenza va verso un ulteriore rialzo. Come si sa,  i derivati (in particolare i future) sono i più veloci, liquidi ed economici strumenti finanziari esistenti. Nonostante la regolamentazione internazionale stia crescendo, sarà difficile arrivare a una limitazione nell'uso di questi strumenti. Nella migliore delle ipotesi riusciremo a incrementarne il livello di regolarizzazione (scambio su mercati regolati) e di controllo.

Qual è il nesso con la crisi europea che continua a influenzare l'economia mondiale? Data questa chiara e marcata tendenza all’aumento della "finanziarizzazione" internazionale, pur con tutto il buon senso che siamo in grado di esprimere, mi chiedo quanto sia ragionevole e lungimirante da parte degli Stati, e in particolare di quelli europei, puntare tutto, come sta facendo la Germania della Merkel e ora sempre più l'Italia di Monti, sul rigore di bilancio. Per esempio prevedendo nella Costituzione il divieto di deficit e imponendo aprioristicamente la riduzione del debito. Se il mondo è “a leva”, finanziariamente parlando, del 1000% del Pil (10 volte) e molte banche europee lo sono addirittura di 40 volte è saggio per uno Stato puntare a leva zero? O meglio, più che saggio, è ragionevolmente percorribile questa strada?

“Levereggiare”, dal francese lever che vuol dire “sollevare”, significa amplificare una forza di input per ricavarne una maggiore di ouput: basta che io utilizzi un lungo bastone ed ecco che riesco a sollevare un macigno. L'accezione di per se è positiva. Dipende naturalmente cosa vado a levereggiare. In fin dei conti, l'imprenditore che si indebita ben oltre il 100% del suo patrimonio per realizzare un’impresa di successo non è encomiabile? Non va sostenuto? Ovvio che se uno Stato si indebita per creare e mantenere un apparato pubblico inefficiente, che si autoalimenta con regolamenti astrusi e leggi contraddittorie, compie una distruzione di valore. Ma non avviene altrettanto se invece libera risorse per incentivare imprenditori meritevoli.

Il fatto di riconoscersi individualmente e collettivamente colpevoli  (anche per quel latente senso di colpa da peccato originale che ogni italiano ha e che le complicazioni dell'amministrazione pubblica istigano a nutrire) e inseguire, rinnegando la vitalità e l’intraprendenza italiana, i dogmi di uno pseudo neo-protestantesimo ipocrita rischia di spegnere definitivamente i pochi focolai di crescita del nostro Paese per metterci alla mercè di uno Stato che dalla situazione attuale ha già ampiamente tratto vantaggio.

Le elezioni politiche che si terranno ora in Francia se da un lato, con la risalita della sinistra, potranno generare a breve un nuovo shock sui mercati, dall'altro forse romperanno quel sodalizio Merkel-Sarkozy che, avendo di fatto fallito nella gestione della crisi attuale, rischia di portare se non a una dissoluzione dell'euro senz'altro a un'involuzione ulteriore della crescita europea. Continuare a tirare la corda è ormai quanto di più inopportuno  possano fare i tedeschi: le richieste di garanzie collaterali sui 500 miliardi di crediti che vanta la Bundesbank verso gli altri Paesi dell'euro è di fatto una assurda minaccia di dissoluzione dell'euro, che pare le grandi banche europee stiano prendendo sul serio avendo iniziato a pareggiare partite creditorie e debitorie verso i Paesi terzi dell'Unione in modo che se si ritornasse alle divise locali eventuali svalutazioni o rivalutazioni dei cambi non andrebbero a impattare sui bilanci. La Grecia è allo stremo e se ai greci rimarrà solo l'orgoglio, cosi come la storia ci ha mostrato, faranno valere quello staccandosi loro dall'Unione e creando un precedente per altri Paesi, con il conseguente rischio di un banking run nel quale gli investitori cercherebbero di portare i loro capitali nei Paesi finanziariamente percepiti come stabili. Il risultato sarebbe un tracollo finanziario globale: pensate a una valanga pari a 10 volte il Pil mondiale che si può abbattere in pochi secondi su tutti i valori di Borsa… - Tilt -.

La Germania in cuor suo sa, e molti onesti tedeschi lo ammettono apertamente, che - oltre a non potersi permettere come nessun altro Stato un cataclisma finanziario mondiale - avrebbe difficoltà enormi a uscire dall'Euro e a subire un Marco tremendamente rivalutato: tutta la sua industria ne perirebbe.

Se non vogliamo tornare a un nuovo Medioevo europeo, in cui pero' verremmo velocemente colonizzati dai forti Paesi emergenti, è bene svegliarci e rilanciare con forza iniziative di crescita delle nostre millenarie esperienze e capacità di cittadini europei.

A presto Mauri


Grazie a Francesco Tarabini Castellani del Gruppo Bancario Svizzero “Vontobel

giovedì 19 aprile 2012

PROSPETTIVE ECONOMICHE E DI MERCATO 2° TRIMESTRE 2012


L'Economic Outlook annuale di dicembre si apriva con tre domande fondamentali: l’economia degli Stati Uniti saprà riconfermare il
miglioramento della performance evidenziato ultimamente? La crisi
dell’Eurozona verrà risolta in modo efficace e tempestivo? E
l'economia cinese eviterà un atterraggio duro nel 2012?
Giunti a fine marzo, le risposte sin qui date ai tre quesiti sono solo
parziali.

Negli USA, la ripresa procede a ritmo piuttosto lento. Riportando le
parole di Dennis Lockhart, Presidente della Federal Reserve di
Atlanta, a seconda dei dati che osserviamo, l'economia statunitense
può essere descritta come un bicchiere mezzo vuoto o mezzo pieno.
Sono stati compiuti incoraggianti passi avanti in termini di
investimenti aziendali, utili societari, vendite al dettaglio e mercato
del lavoro. D'altro canto, il settore immobiliare e le prospettive di
deficit federale non hanno registrato grandi progressi e permangono dei dubbi per il futuro.

Nell'Eurozona, due consistenti iniezioni di fondi nel sistema bancario da parte della BCE e due operazioni di rifinanziamento LTRO nei mesi di dicembre e febbraio, complessivamente pari a quasi 1.000 miliardi di euro, hanno fatto allentare la stretta finanziaria sul sistema bancario, mentre il completamento dell'operazione di swap dei titoli di debito greci avvenuta in marzo – sebbene con l'uso di clausole di azione collettiva - ha fatto decisamente migliorare il sentiment in tutto il continente. Le due misure costituiscono tuttavia meri palliativi di breve durata e non sono soluzioni permanenti.

In Cina, l'economia ha evitato “l'atterraggio duro” ma sta ancora
rallentando in modo evidente. Le dichiarazioni dei leader politici
come il Premier Wen Jiabao, che prevede una crescita del PIL reale nel 2012 limitata al 7,5%, e l'esigenza di ulteriori adeguamenti al ribasso dei prezzi degli immobili, hanno scoraggiato gli investitori
azionari e coloro che speravano in un veloce passaggio a una nuova fase di allentamento monetario. Ne ha di conseguenza risentito il sentiment sui mercati finanziari locali.

Inflazione e previsioni di crescita

La diversità di risultati in queste tre aree principali ha complicato i
trend dei mercati dei capitali globali. Queste correnti trasversali,
associate a periodici interventi delle banche centrali sui mercati del
credito, si sono tradotte in una continua volatilità, sia a livello
azionario che obbligazionario. Tale situazione ha portato al
persistere di una propensione al rischio altalenante sui mercati
finanziari – con giornate in cui la tendenza delle operazioni risultava
favorevole agli investimenti rischiosi o, al contrario, ad attività
considerate beni rifugio. È probabile che tale andamento continui
fino a quando non si chiariranno le tendenze del ciclo economico
nelle principali aree geografiche o economiche.
Considerando le principali valute, l'euro è riuscito a resistere rispetto al dollaro USA, allo yen giapponese e alla sterlina. Tuttavia, dopo un periodo forte in gennaio e febbraio, a marzo molte divise di paesi emergenti hanno registrato un indebolimento. Anche in questo caso, fino a quando il ciclo economico sottostante non sarà più chiaro, le oscillazioni valutarie continueranno con ogni probabilità a rispecchiare le preoccupazioni a breve termine piuttosto che fattori ciclici di lungo periodo.
A fronte della probabilità che i tassi applicati dalle banche centrali
nei paesi avanzati restino prossimi allo “zero bound” per un periodo
prolungato, ritengo che gli investitori continueranno ad andare alla
ricerca di rendimento. A mio avviso, tale situazione a sua volta farà
salire la valutazione dei titoli di qualità elevata in grado di generare
rendimenti sicuri e sostenibili rispetto ad asset che generano flussi di reddito più ridotti. Tra gli esempi di tali “asset di qualità” si possono ricordare le obbligazioni corporate e high yield nel settore del reddito fisso, azioni con elevati dividendi protetti da una crescita
costante degli utili e dotati di una solida copertura da performance
economiche sotto la pari, o fondi immobiliari che possono offrire
flussi stabili e sostenuti di ricavi da locazione.
Per quanto riguarda le materie prime, a parte il petrolio, favorito da
timori di instabilità geo-politica o addirittura di un conflitto in Iran e
nello Stretto di Hormuz, le altre materie prime, sia agricole che
industriali, restano vulnerabili alla possibilità di rallentamenti in Asia
ed Europa.

A presto Mauri

La sintesi proviene dallo studio di J.G. capo economista di Invesco A.M.

martedì 3 aprile 2012

     LA CRISI EUROPEA E PROSPETTIVE FUTURE



 
È finita la crisi europea?
 Molti  politici, ma anche uomini di mercato - hanno risposto affermativamente a questa domanda, dopo la ristrutturazione del debito greco. Ma poi operatori, esperti e analisti hanno cominciato a chiedersi chi sarebbe stato il prossimo Stato a ristrutturare: Portogallo, Irlanda...
E la Spagna ? Nella Penisola Iberica si concentra buona parte del problema perché, al contrario dell'Italia, è il settore privato a detenere il maggiore indebitamento: secondo Eurostat, alla fine del 2010 famiglie e imprese non finanziarie erano indebitate per il 227,3% del Pil spagnolo. Alcuni importanti economisti, sostengono addirittura che la mossa della Bce - con l'operazione di rifinanziamento delle banche Ltro - in realtà non ha comprato tempo ma, togliendo la pressione necessaria per accelerare il processo di riforme politiche e aggiustamenti economici, ha peggiorato le cose.
In parte concordo con questa diagnosi, in parte non la condivido.
Guardando a quello che è successo sui mercati finanziari giovedì scorso sembrerebbe avere ragione questa tesi. Lo sciopero generale spagnolo contro le riforme, i timori di un terzo pacchetto di aiuti per la Grecia che ha chiesto uno slittamento dei tempi per le privatizzazioni, le insicurezze relative a un efficace rafforzamento dei due fondi di stabilità europei - uniti a due aste di titoli di Stato in Spagna e Italia non eccessivamente positive e a dati peggiori delle aspettative sulla disoccupazione negli Usa - hanno portato a una riapertura degli spread spagnoli e italiani e a una seduta borsistica marcatamente negativa.
D'altra parte, se la Bce non fosse intervenuta probabilmente avremmo cominciato a subire il rischio di qualche rilevante fallimento bancario. Tutti sappiamo quali sono state le conseguenze dell'ultimo grande esempio - quello della Lehman - e i governanti del mondo, consapevoli di non potersi permettere di nuovo il rischio di un collasso economico e finanziario globale, avrebbero dovuto mettere insieme in fretta e furia una ennesima linea di difesa, peggiorando la loro già precaria credibilità e disastrando ulteriormente le finanze statali.
Dunque la soluzione di Draghi ha comprato tempo: ma tempo per fare cosa?
Le banche, esattamente come gli individui che vedono di nuovo i corsi delle loro azioni e obbligazioni salire, sono libere di scegliere tra due opzioni:
 1) possono gioire di questo artificioso miglioramento e magari "speculare" (le une) levereggiando con i prestiti all'1% su investimenti di rischio in grado potenzialmente di fargli guadagnare buoni risultati di breve termine e "spendere" (gli altri) in consumi o investire anche questi in attività di rischio. Oppure:
 2) possono (le une) usare questa liquidità per sistemare i bilanci riducendo gradualmente la leva (buona parte delle banche europee fino a poco tempo fa aveva ancora bilanci fortemente levereggiati) e ristrutturare il proprio business sulla base della richiesta di mercato e risparmiare (gli altri) riducendo magari il mutuo sulla casa e aumentare la propria competitività sul mercato del lavoro, preparandosi a tempi potenzialmente peggiori.
 Sul mercato si parla già di banche-zombie tenute in vita artificialmente.
Sono opzioni concrete che ogni impresa e ogni privato (che ne ha la possibilità) deve valutare per assumere una decisione consapevole.
Ciascuno di noi, personalmente, si confronta con queste scelte.
Da un lato, oltre alla predisposizione personale, credo che un atteggiamento di rigore eccessivo - risparmio bigotto e investimenti in liquidità, o a bassissimo rischio - sia controproducente per il singolo come per la collettività: chi ha soldi ritengo sia giusto che li spenda per non sottrarli dal ciclo di crescita, o che li investa in bond e azioni di imprese sane agevolandone la crescita.
Dall'altro lato non possiamo però dimenticare che la globalizzazione (nei processi produttivi, nei consumi, nell'informazione, e così via) procederà e che la competitività aumenterà ancora, mentre la sicurezza del posto di lavoro diminuirà.
Sarà un mondo sempre più complesso. Per tutti, che lo si voglia o no: un mondo nel quale, comunque, la meritocrazia, le capacità individuali e l'imprenditorialità troveranno più spazio che nel passato, perché comportamenti collettivamente fallimentari porteranno realmente al fallimento di imprese così come di Stati.
 Ciascuno può decidere se partecipare a questo processo, oppure esserne "vittima" inconsapevole.
 La mobilità di nuove forze lavoro aumenterà ulteriormente e nuove soluzioni a prezzi più competitivi continueranno a svilupparsi.
 In conclusione: per avere lo stesso posto di lavoro occorrerà impegnarsi di più o essere migliori e comunque la probabilità di perderlo aumenterà. Ridurre l'indebitamento familiare - cosa più frequente in Spagna e molto meno in Italia - e contrastare le speculazioni finanziarie sarà altrettanto importante.
Le banche sono chiamate a fare lo stesso ragionamento e quando scadranno gli extra finanziamenti della Bce si vedrà chi avrà fatto i compiti a casa e chi no.
Buona Giornata a presto
Mauri