lunedì 25 giugno 2012

                        QUALE FUTURO CI ATTENDE?...


Come ha efficacemente sintetizzato Münchau sul Financial Times , la Bundesbank ha detto che non ci può essere un’unione bancaria senza un’unione fiscale, la Merkel sostiene che non ci può essere un’unione fiscale finché non ci sarà quella politica e Hollande ha precisato che non ci può essere un’unione politica finché non ci sarà un’unione bancaria. Nel gioco delle parti, ognuno cerca di passare la patata bollente al vicino per non scottarsi le dita, invocando la necessità di un primo passo da parte degli altri.
Le elezioni greche hanno visto la vittoria degli "europeisti" del partito conservatore greco: sarà l'inizio di un cammino lungo e doloroso del Paese per entrare negli schemi dei diktat teutonici, o più semplicemente e pragmaticamente il passo necessario per avere un altro po’ di soldi dall'Europa?

Le logiche che prevalgono oggi sono quelle di breve termine, in grado di portare prevedibili risultati concreti nell’immediato. Che poi questi durino nel tempo interessa relativamente poco, essendo comunque il futuro incerto e variabile. La gente vuole risultati immediati in ogni campo.

I politici europei, i governi, le decisioni dei sistemi democratici attuali vengono valutati dai mercati finanziari globali, che ragionano overnight, scontando ogni possibile scenario sulla brevissima distanza in positivo o negativo. I tempi della Democrazia europea sono molto lunghi. All'aumentare dei rischi di un fallimento dell'euro, con effetti su scala sistemica – come potrebbe avvenire, per esempio, in caso di fallimento delle banche spagnole - aumenta anche il calibro delle cartucce sparate  - si veda il bailout da 100 miliardi di euro della Spagna. Il problema, tuttavia, è che si tratta pur sempre di cure palliative che vengono subito digerite e annullate dal mercato: al momento in cui scrivo lo spread decennale Spagna-Germania è al suo record massimo storico (5,684599%)… !

Ecco un altro esempio degli effetti di questa asincronia tra mercato e politica: leggo in un report finanziario (e già scaduto di validità)  che venerdì Moody’s ha definito la Polonia un “safe heaven”, sulla base di una valutazione fondamentale del Paese e della sua economia. Questo ha generato un rally sulla Polonia (valuta e Cds) che però, essendo considerata ad "alto beta" (vale a dire reattiva nel bene e nel male), al momento in cui sto scrivendo a seguito delle incertezze sull'Eurocrisi che continuano a persistere ha già quasi completamente ritracciato.  Ormai scrivere di finanza non ha quasi più senso: viviamo in un mercato umorale, risk on - risk off, che prevarica in velocità la profondità di qualsiasi analisi.

L'estate che ci aspetta sarà lunga e calda, mentre le sfide aperte richiedono anzitutto ai politici spalle più larghe di quanto un essere umano possa avere. Dunque l’incertezza continuerà a regnare sovrana.
Qualche giorno fa ho preso parte ad un meeting organizzato dal “Centro studi Ilva”, relatori eccezionali, grande preparazione e proprietà di linguaggio adeguata a trasmettere al meglio concetti e situazioni economico/politiche che caratterizzano il nostro paese e non solo.
Il professor Gilardoni, bocconiano doc, ha mostrato uno studio durato più di un anno, ed inviato gratuitamente al nostro “Governo” sui costi del “non fare”, impressionanti i numeri e soprattutto le occasioni perse, non siamo in grado di presentare progetti che permettano l’utilizzo di fondi europei, e stiamo parlando di svariati milioni di euro, occasioni perse per creare e migliorare non solo infrastrutture ma anche e soprattutto posti di lavoro, lungimirante e quanto mai vero, l’intervento del rappresentante di CONFINDUSTRIA di Brindisi, il quale con una disamina quasi chirurgica della situazione Italia, ha concluso il suo intervento fotografando la situazione del mezzogiorno esaltandone l’immobilità e l’assenza di idee, solo perché queste vengono sistematicamente bocciate o rinviate nella messa in opera facendo scadere puntualmente i termini per poter usufruire dei fondi della Comunità Europea.
Cari amici, la situazione è di un immobilismo disarmante in tutti i settori, sui libri di economia ho studiato la “deflazione” termine quanto mai discusso nel suo significato intrinseco, ma che abbiamo potuto osservare da vicino analizzando nell’ultimo decennio la situazione economica della potenza Giappone. Mancano i leader, quelli veri, capaci di assumersi le responsabilità delle scelte, non giochiamo da soli la partita, dobbiamo fare molta attenzione, per ora abbiamo avuto solo la fortuna di arrivare ai supplementari ma il tempo sta per scadere…
A presto Mauri

domenica 10 giugno 2012

...QUALCOSA DI NUOVO?...

Con riferimento alle principali economie mondiali, secondo le stime del Fondo monetario internazionale (Fmi) il peso del deficit sul Pil dei Paesi industrializzati e l'indebitamento dei Governi sono destinati a salire vertiginosamente nei prossimi anni (dal 78% al 118%): il motivo principale è da ricercarsi non tanto negli immensi programmi di aiuto alle banche e di supporto alla congiuntura, bensì nel crollo del gettito fiscale e nell'aumento della spesa pubblica, necessaria per supportare le misure anti-recessive quali, primi fra tutti, i sussidi alla disoccupazione. Oltre a questo, gli Stati dovranno anche introdurre nuovi ammortizzatori sociali per una popolazione che invecchia sempre più.
Ogni tanto fa bene allargare la prospettiva ed esaminare la situazione con il grandangolo....la situazione appare preoccupante! Non solo il debito dei Paesi è già sostanzialmente salito (negli Stati Uniti il debito ad agosto ha sforato il 100% ), ma gli attuali livelli non tengono conto delle misure di sostegno per le banche e per rianimare la congiuntura. Misure ancora da realizzare e che oggi più di due anni fa appaiono di importanza vitale. Tuttavia la gravità del contesto può essere letta anche in chiave ottimistica: Nella situazione in cui siamo, forse solo la presenza imminente di un'immane catastrofe finanziaria potrebbe spingere governanti e governati ai passi radicali di riforma di cui necessita il nostro Vecchio Continente. Questa valutazione, che scrissi nell'aprile dell'anno scorso, è ancora assolutamente attuale.
Con la Grecia allo sbando e la Spagna che - incapace di ricapitalizzare le sue banche (Bankia necessita a breve di oltre 40 miliardi di euro, mentre il settore bancario è zavorrato da 180 miliardi di cattivi crediti ipotecari) e con interessi sul debito sempre meno sostenibili (avviati verso quella soglia limite del 7% che ha costretto Irlanda e Portogallo, dopo la Grecia, a chiedere aiuto alla Troika) - dichiara per voce del suo primo ministro Mariano Rajoy la disponibilità a cedere il controllo sul bilancio statale, lo scenario è già sufficientemente negativo. Ma per completarlo occorre citare anche la dinamica che vede lo spread italiano seguire nei brutti momenti quello spagnolo, indicando la strada per un nuovo, violento attacco speculativo contro il Bel Paese (come non bastasse il terremoto), qualora la Spagna dovesse capitolare.
Tuttavia nel fine settimana qualcosa è cambiato e ora Angela Merkel, secondo fonti a lei vicine, pare più incline a valutare quel progetto di unione politica e fiscale europea di cui si parla (gli "Stati Uniti d'Europa" di cui scrivevo qualche tempo fa). Il tema viene portato avanti con tante prospettive quanti sono gli interlocutori (di rilievo).
Una seconda variante dello scenario considera l'incapacità politica tedesca, ma non solo - di arrivare in tempi brevi a un accordo di unione fiscale e di conseguenza favorisce un'azione portata avanti dalla Banca centrale europea. Questo intervento verterebbe in prima istanza su una "denazionalizzazione" di fatto delle principali banche europee, che verrebbero sottratte alla "giurisdizione" quantomeno finanziaria dei vari Stati per essere direttamente controllate dalla Bce. Questo implicherebbe la disponibilità di un rafforzato fondo di ricapitalizzazione e di un fondo di garanzia gestito insieme a organismi di supervisione centrali.
Qualsiasi variante si valuti, comunque, sarà impossibile farla passare senza il benestare dei tedeschi. Ragione per cui, si fanno sempre più maturi i tempi per svelare il bluff (28 novembre 2011, Il bluff della Germania) della secessione e per mettere in tavola le carte con cui verrà negoziato il nuovo equilibrio politico europeo.
Ma una cosa è sicura: wir werden alle ein bisschen mehr Deutsch sprechen! (parleremo tutti un po più in tedesco!).
A presto Mauri